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Intervista Indie-gesta: Siamo i Watt, non facciamo canzoni tristi

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Vi do un indizio sugli artisti di cui parliamo oggi: ok, avete già capito, sono una band, ma quello che ancora non sapete è che sono i più giovani del panorama pop-rock italiano e già si sono aggiudicati alcuni dei premi e palchi più importanti. Usciti vincitori ad agosto da Castrocaro 2020, l’importantissimo festival musicale fondato nel 1957, dividono il pubblico, tra puristi della musica e chi invece apprezza la freschezza e immediatezza di testi e melodie di questo quartetto milanese. Greta Rampoldi, sedici anni e voce dei Watt, ci racconta quanta passione c’è dentro una band.

INTERVISTA | GRETA RAMPOLDI

Greta, sei la frontwoman più giovane della scena pop italiana e da ben sei anni nei “Watt”: chi siete e com’è iniziata la vostra avventura?

Posso dire che è iniziata proprio “in famiglia”: mio fratello Matteo è il batterista e ha conosciuto Luca Corbani (basso e voce)  all’oratorio, sono diventati inseparabili e hanno deciso di suonare insieme.

Siamo ragazzi cresciuti ascoltando rock band e quindi quando hanno iniziato a suonare Luca ha presentato a mio fratello l’altro Luca, Vitariello detto “Vita”, suo amico dalla nascita e da sei anni nostro producer e chitarrista. Loro hanno qualche anno più di me.    Quando hanno iniziato io avrò avuto 6/7 anni e ancora non cantavo con loro; posso dire però che ho iniziato a cantare prima ancora di parlare! Dai nove anni ho passato un anno a cercare di convincere Matteo a farmi entrare nella band e ovviamente da fratello maggiore mi rimbalzava sempre, allora andavo in giro fuori dalle scuole di musica ad affiggere cartelli con su scritto: “giovanissima cantante di 9 anni cerca band”. Un giorno si sono convinti, mi hanno fatto provare un pezzo e siamo rimasti in questa formazione dall’inizio, quasi da 7 anni.

 

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Avevate già l’obiettivo di presentarvi al “grande pubblico” e di suonare anche “da grandi” ?

Siamo cresciuti letteralmente con la passione della musica, suonando negli oratori per divertimento e non ci rendevamo conto di quanta strada stavamo facendo anno dopo anno, anche se il percorso di adesso è sempre stato il nostro sogno. Mi ricordo ancora che a pochi minuti dalla nostra prima registrazione “ufficiale” ho perso un dente! Poi sono entrata in studio e ho iniziato a cantare, saltando come una matta. Il fonico mi ha fermato e mi ha detto “sei tanto carina ma se registriamo così si sentiranno anche tutti i tonfi che fai”.

Quali artisti ascoltavate all’inizio e quali vi ispirano ancora?

I nostri riferimenti sono un grande mix di generi, però primi su tutti i Muse e gli Alterbridge e un gruppo che ci ispirava agli inizi, forse poco conosciuto in Italia, sono gli Halestorm, suonano punk rock e hanno la particolarità di essere anche loro fratello e sorella. Infatti noi non siamo “solo” una pop band ma abbiamo molte altre influenze, dal punk al funk.

Il videoclip di un vostro singolo uscito poco tempo fa mi ha colpito molto, forse perché si percepisce una storia diversa, tra le righe: “Happy” è un vero mix di hiphop ed electro-rock unito ad una visione onirica, cosa c’è dietro al videoclip?

E’ assolutamente così, Happy, sia il video che la canzone stessa, nascondono diversi significati: il video è ambientato nello scenario inquietante della Milano deserta del primo lockdown, infatti tutta l’atmosfera è angosciante. C’è anche il featuring del rapper Alex Riva. E’ una visione surreale anche della situazione della pandemia e  racconta di come le persone trovino anche nei piccoli piaceri una valvola di sfogo. In questo mondo assurdo raccontato nel video infatti parliamo anche di fare “after da Starbucks”. E anche il bicchiere che “cammina” durante tutto il videoclip e’ una soggettiva e oggettiva del bicchiere stesso, come se fosse dotato di vita propria. Ci siamo detti: “nessuno pensa ai bicchieri e a quello che vedono loro!”. E ovviamente per rimarcare quell’aspetto di follia abbiamo cercato di scuotere lo spettatore.

E nonostante la giovane età è chiara la volontà di uscire dagli schemi o dalle etichette musicali…

Sì! Sai, molti dei miei amici sono musicisti e conosco tanti del panorama musicale che si definiscono “indie” e cercano di scrivere canzoni tristi, perché ora è un genere di tendenza ma non riusciamo a essere tristi! Ci abbiamo provato eh!                                                  A parte gli scherzi, con “Fiori di Hiroshima” (il pezzo con cui lo scorso agosto i Watt hanno vinto il Festival di Castrocaro,ndA) ci siamo avvicinati al genere ma il nostro è sempre un mix, la nostra musica è ritmata, ballabile. Alla fine quello che abbiamo capito è che non ha senso etichettare i generi.

Avete ruoli definiti all’interno della band? Chi scrive parole e musica?

La “mente creativa” del gruppo è Luca “Vita”, producer e nostro chitarrista. Capita che arrivi anche con 10 “bozze” di canzoni alla volta. Lui vive per la musica, non esce neanche di casa se sta lavorando a provini di nuovi pezzi. Lo prendiamo in giro perché spesso non risponde al cellulare e dobbiamo andare sotto casa sua per parlargli. E’ un elemento fondamentale della band, ci porta sempre materiale nuovo. Poi Vita, mio fratello e l’altro Luca si mettono a lavorare sulla musica, linee di basso, batteria, synth e tutto il resto, io lavoro al testo con un autore che ci segue. Il testo parte da una mia emozione e lui riesce a tradurre i miei pensieri in parole e in più mi lascia sempre lo spazio e la libertà di “mettere le mani” nel suo lavoro, con mie aggiunte personali.

Avere una band è un arricchimento di visioni diverse e più personalità insieme,un gioco di squadra ma spesso si creano conflitti, si sono viste tante band sciogliersi. Come avete fatto a raggiungere questo primo traguardo di 7 anni? E com’è andata la recente esperienza delle selezioni per Sanremo Giovani?

Riusciamo a lavorare in armonia e quello che ci ha aiutato a mantenere il legame è che siamo tutti cresciuti insieme, condividiamo tantissimo, vacanze, cene, momenti quotidiani. La nostra band è una famiglia, come fossimo tutti fratelli accomunati dalla voglia di suonare insieme. Dopo aver vinto Castrocaro siamo andati alle selezioni per Sanremo Giovani, è stato emozionante ma purtroppo non siamo passati, in realtà non hanno preso nessuna band. Però è tutta esperienza, in questi 7 anni abbiamo fatto tanti concerti, dagli oratori allo Stadio San Siro (nel 2017 hanno aperto il concerto di Davide Van De Sfroos, ndA) e siamo stati i più giovani ad aver suonato all’Alcatraz. Una sera proprio a Sanremo, non al Festival, ma in un locale, abbiamo suonato e io sono scesa a cantare in mezzo al pubblico. Quando si poteva non vedevo l’ora di passare il microfono a qualche spettatore e abbattere “il muro” che c’è tra pubblico e artista. Durante i nostri concerti ogni tanto prendo il cavo di Vita e lo obbligo a scendere dal palco con la chitarra con me, gli altri sono molto più timidi, io mi carico tantissimo, sono incontenibile! Cantare nella mia band mi dà tanta adrenalina!

Purtroppo ora i concerti hanno dovuto subire uno stop: avete in programma prossime uscite sui digital stores?

Certo, anzi, l’11 uscirà “Boomerang”, di cui stiamo dando alcuni spoiler sui nostri social, tra foto e qualche abstract del pezzo. L’abbiamo scritto recentemente, mentre uno dei precedenti, “Na na na la testa” , uscito a fine aprile, l’abbiamo scritto a inizio gennaio, poco prima della pandemia di cui non sapevamo ancora nulla ed è assurdo perché in realtà ci sono diversi riferimenti alla quarantena: il verso “A un metro da te come Stella e Will” l’ho scritto perché avevo visto il film “A un metro da te” (titolo originale Five Feet Apart, campione d’incassi nel 2019, regia di Justin Baldoni, con Haley Lu Richardson e Cole Sprouse, ndA) senza sapere ancora che di lì a poco saremmo dovuti stare ad almeno un metro di distanza.

Quanto ha influito questo periodo sulla vostra scrittura e produzione? In Boomerang ne parlate?

Fortunatamente io ho un’indole ottimista e tutti noi teniamo duro. Credo che la nostra musica possa servire anche a questo: le persone vogliono distrarsi, c’è sempre bisogno di qualcosa che ci ricordi che dobbiamo essere felici, anche in questo periodo. Non posso ancora svelare molto ma posso anticipare che il mood di “Boomerang” è funk, il testo parla di un problema e di una presa di coscienza, consapevolezza. Forse quella che abbiamo attraversato recentemente.

 

E noi non vediamo l’ora di farci avvolgere dalla musica elettrica dei Watt!

 

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