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Jamala, dall’Ucraina invoca la pace e si chiude a casa con i bambini. Nel 2016 vinse l’Eurovision con una canzone che irritò la Russia

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Con l’invasione dell’esercito russo in Ucraina torna attuale, ahimè, la vittoria all’Eurovision Song Contest 2016 della cantante ucraina Jamala con la canzone “1944”.  

Con l’invasione dell’esercito russo in Ucraina torna attuale, ahimè, la vittoria all’Eurovision Song Contest 2016 della cantante ucraina Jamala con la canzone “1944”.

La 66ma canzone regina dell’Eurovision Song Contest è stata anti-Russia. A complimentarsi con Jamala per la vittoria fortemente ‘politica’, consumatasi alla Globen Arena di Stoccolma, in Svezia, anche il presidente ucraino Petro Poroshenko, che twittò: «Un’esibizione e una vittoria incredibili, tutta l’Ucraina ti ringrazia di cuore, Jamala».

L’esito, ovviamente, non piacque a Mosca, che parlò di “una vittoria politica, da annullare”, di complotto e irregolarità di voto. Oggi, a distanza di sei anni, con l’invasione dell’esercito russo in Ucraina la vittoria all’Eurovision di Jamala torna, ahimè, attuale. La cantante ucraina, in questi momenti di panico generale per la guerra scoppiata in Europa, sul suo profilo Instagram si fa vedere chiusa a casa con i suoi bambini e scrive: «L’Ucraina non vuole la guerra! Siamo per la pace! Siamo a casa. Niente panico e sii forte… Non tacere! Per favore, sostieni l’Ucraina».

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Il brano con cui Jamala regalò all’Ucraina per la seconda volta l’ambito trofeo (il 1° risale al 2004 e porta la firma di Ruslana) si intitola “1944” e affonda l’ispirazione nella storia familiare della cantautrice. Susana Jamaladynova, per tutti Jamala, ha sangue misto ed è figlia d’arte. Il padre è un fisarmonicista tataro di Crimea, mentre la mamma è una pianista armena del Nagorno Karabakh. A darle i natali è però Oš, città del Kirghizistan. E qui scatta il flashback.

Negli anni ’40, durante la seconda guerra mondiale, la sua famiglia paterna fu vittima del regime sovietico. Iosif Stalin, a capo dello Stato Sovietico, volle infatti infliggere una punizione collettiva ai tatari di Crimea poiché sospettati di collaborazionismo ucraino durante l’occupazione nazi-tedesca. Fu così che nel 1944, subito dopo la liberazione della Crimea, ordinò la deportazione dell’intero popolo dei tatari di Crimea nell’Asia centrale. Si trattò di un vero e proprio genocidio, in quanto dei quasi 200 mila deportati si salvarono all’incirca la metà. Tra i superstiti anche Nazalkhan, trisavola di Jamala, che si trovò lontana dalla sua terra con un figlio su 5 in meno, mentre il marito combatteva nell’esercito russo.

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Un flashback con cui la giostra musicale del Festival più visto al mondo interruppe il suo incantesimo. Oltre 200 milioni di telespettatori si sentirono uniti, come consuetudine, attraverso voli pirotecnici tra un continente e l’altro, spinti da un magma musicale fluorescente e omologante, per poi finire inaspettatamente risucchiati da una crepa storica che riconduce al contrasto tra Kiev e Moscaancora irrisolto e in queste ore precipitato in una nuova guerra.

I riflettori dell’Eurovision si spostarono pertanto sulla deportazione dei tatari di Crimea e all’annessione dell’ex penisola dell’Ucraina da parte della Russia, avvenuta nel 2014. In “1944”, la canzone vincitrice dell’Eurovision 2016, Jamala riversò tutta la sua contrarietà all’occupazione russa della Crimea mettendo in piazza i ricordi di famiglia e la sofferenza di un’adolescente a cui è stato impedito il contatto con la propria terra. «Non ho potuto passare lì la mia gioventù, perché vi siete presi la mia pace»: così la cantante, allora 33enne, cantava nel refrain del brano, in rigorosa lingua tataro-crimeana. Anche nell’intro, cantato in inglese, si evince a chiare lettere contro chi si puntava il dito: «Quando arrivano gli stranieri, vengono nella vostra casa, vi uccidono tutti e dicono: non siamo colpevoli, non colpevoli».

Non solo musica dunque, ma anche un testo che torna ad essere attuale. Del resto l’ispirazione artistica sgorga, di norma, da stimoli e sentimenti contingenti che possono risultare scomodi ad alcuni. Conchita Wurst insegna. La vittoria all’ESC 2014 di una cantante barbuta sensibilizzò sul tema dei diritti omosessuali, negati del tutto o parzialmente in tante sottoculture di matrice religiosa. A cavalcare l’onda LGBT alzata della drag queen austrica, sulle note shock di “Rise Like a Phoenix”, otto anni dopo, i nostri Maneskin con il rock a tinte provocatoriamente gay friendly di “Zitti e buoni” che ha conquistato il cuore del mondo. In sostanza sia Conchita sia Damiano David e compagni non sono stati solo un fenomeno vocale e musicale, così come la vittoria di Jamala non è stata solo politica. Le notevoli abilità compositive dell’artista ucraina hanno fatto da terreno fertile per abilità vocali altrettanto considerevoli, sia in canto lirico sia in canto jazz. Piena prova di ciò  è stata “1944”, un brano dall’innesto etno-soul che esplode in acuti laceranti e che oggi ci torna inevitabilmente in mente, rimettendo in luce l’importanza dell’inscindibile legame tra musica e politica.

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LIVE | 1944

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Crediti Foto: SHUTTERSTOCK