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Cinema. “La Fabbrica dei Sogni” di Chiara Sani: COME SI ILLUMINA UN FILM? A tu per tu con il Direttore della Fotografia Cesare Bastelli

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Di Chiara Sani

Un film è composto da molti fattori, molti ingredienti che, miscelati insieme, creano la MAGIA. Per realizzare un film d’autore, per creare emozioni, non basta un buon regista o un buon attore, è necessario creare atmosfera, immagini, emozioni. Oggi conosceremo più a fondo l’importanza del DIRETTORE DELLA FOTOGRAFIA in un film. Sono molto felice di dedicare questo spazio ad un artista meraviglioso, che ho avuto modo di conoscere su alcuni set cinematografici e che sicuramente potrà stimolare e ‘illuminare’ molti aspiranti cineasti pronti per il decollo…

Cesare, tu hai lavorato possiamo dire esclusivamente nel Cinema d’Autore: hai collaborato con Maestri come Marco Bellocchio, Roberto Faenza e Marco Ferreri, fino a compenetrarti nella filmografia di Pupi Avati, sia come aiuto regista, fotografo di scena e soprattutto come Direttore della Fotografia in tantissimi suoi film. Quando vedi un ‘cinepattone’ cosa provi? Ti è mai capitato di fare un ‘salto quantico’, dal tuo background autoriale a prodotti esclusivamente commerciali?

Non vorrei sembrare “snob” ma i cinepanettoni non li vedo. In realtà non vado neppure così spesso al cinema né tantomeno guardo la televisione (ad eccezione di qualche serie televisiva che trovo in alcuni casi bella, proprio come un bel film, ma con la differenza che dura dieci o venti volte di più della lunghezza normale di un film…). Tuttavia non posso dire di non aver mai intravisto qualche sequenza di commedie natalizie, dette cinepanettoni… se devo essere sincero li trovo molto ingenui, con una comicità a volte grossolana e con una struttura sempre uguale… però rispetto molto il lavoro e lo sforzo che c’è dietro a questi progetti, so quanta fatica si fa nella lavorazione di un film. Certo, sulla fotografia a volte allargo un po’ le braccia: sono coloratissimi e molto piatti. Diciamo che avverto una sorta di indolenza stilistica, parlando in gergo: si ‘smarmella’, cioè si illumina a ‘secchiate’, si butta la luce un po’ di qua e un po’ di là, non si va troppo per il sottile.. Questa è pigrizia, perché OGNI STORIA HA LA PROPRIA LUCE, comprese le commedie e i film puramente comici. Comunque mi piace spaziare e fare anche film differenti e non solo per la sopravvivenza, faccio tutto con la stessa passione e attenzione con cui faccio i film importanti di Pupi Avati o di altri autori. Sono una sorta di DON CHISCIOTTE CHE COMBATTE I MULINI A VENTO: anche una semplice intervista o un tutorial su come si montano le veneziane alla finestra di casa, li giro con l’attenzione e con il materiale che userei per un film. Qualche volta questo viene notato e apprezzato, altre volte no, perché purtroppo la televisione attuale ha appiattito tutto, non esiste più il gusto per le belle immagini…

Come ti sei avvicinato al mondo del Cinema, avevi già le idee chiare su cosa avresti fatto ‘da grande’ oppure è iniziato tutto per caso?

Sono sempre stato un ragazzo fortunato: ho sempre amato armeggiare con le macchine fotografiche e le cineprese 8mm. Non ti so spiegare il perché… Siccome sono un romantico mi piace pensare che sia perché mio padre e mia madre, da sfollati a Modena durante la guerra, si conobbero in un cinema, gustandosi un film che era oltretutto tedesco, dato che c’era l’occupazione! E poi, una coincidenza incredibile… mille anni dopo, mentre mi trovavo a Belgrado per girare un documentario, conobbi un signore per strada in modo assolutamente casuale: era l’aiuto regista proprio di quel film! LO SAI, VERO, CHE CI SONO DEI SOTTILI FILI CHE SI INTRECCIANO ATTORNO ALLA NOSTRA VITA E CHE OGNI TANTO SI RIANNODANO..? Comunque, da bambino, il giorno della mia prima comunione mi feci regalare una cinepresina Kodak, e ancora ci gioco! La fortuna che ti dicevo è quella di avere avuto una PASSIONE, che purtroppo manca a molti giovani di oggi, che non sanno a quale futuro aspirare e che sono privi del DESIDERIO di dare il tutto e per tutto per raggiungere un obiettivo. Costanza, fatica, sofferenza sono ingredienti a cui non ci si può sottrarre. Sono sempre riuscito a lavorare nell’industria cinematografica nonostante non mi sia mai trasferito a Roma, forse sono un outsider e un po’ timido ma non ho mai pensato di spostarmi dalla mia terra che amo.

Com’è stato lavorare con Lucio Dalla? Tu hai preso parte alla lavorazione di diversi suoi video musicali…

Non solo video musicali. Ho conosciuto Lucio Dalla quando avevo 18 anni e lui 24. Lui iniziava ad essere un po’ conosciuto a Bologna, quindi lo invitai come ‘ospite d’onore’ ad un piccolo spettacolo del gruppo teatrale che avevo organizzato a scuola.

Ottima idea, sei stato intraprendente nonostante fossi così giovane…

Peccato che non venne! Però diventammo amici e mi coinvolse nella preparazione dei suoi primi spettacoli musicali fuori dalle discoteche: teatri di provincia, feste dell’Unità, Circoli Arci, etc. Fu un periodo straordinario! In realtà io non sapevo fare nulla ma cercavo di arrangiarmi con le luci e poi con quelli che oggi si chiamano ‘video’: Lucio aveva comprato da una farmacista di Firenze una cinepresa 16mm usata, che io utilizzai per girare delle immagini che proiettavamo in teatro alle sue spalle mentre lui cantava. Pensa, montavo sul palco un proiettore cinematografico pesantissimo e, ad ogni canzone, cambiavo la bobina con la pellicola e lo facevo partire, mentre la musica copriva il rumore del proiettore!
C. Che meraviglia! Mi immagino la scena… sembra di vedere un film!
B. Lucio è stato davvero importante per me. Era un tipo straordinario, un po’ scugnizzo, un po’ artista, un po’ folletto, un po’ genio e un po’ persona normalissima, con un’ironia direi ‘metafisica’, surreale e molto divertente. Grazie a lui conobbi Pupi Avati, con il quale aveva suonato musica jazz. Lucio, con il suo intuito eccezionale e il suo talento artistico, convinse Pupi ad abbandonare la musica per dedicarsi al cinema. Gli fece capire che la passione era una cosa, ma il talento era un’altra. E fu così che Pupi trovò la sua strada… Lucio mi manca moltissimo e sono un po’ ‘geloso’ del fatto che manca a tantissime altre persone, anzi all’Italia intera.

Dal tuo punto di vista, cosa manca al cinema italiano per diventare un prodotto da esportazione a tutti gli effetti, nell’Industria Cinematografica internazionale?

Per un lungo periodo l’Italia è stata in cima al mondo, per quanto riguarda il cinema. Mi riferisco al neorealismo e anche agli anni ’60. Avevamo grandi registi, dal nome di uno dei quali è nato addirittura un aggettivo: ‘felliniano’. Erano grandi autori ma sapevano fare anche un cinema popolare, che incassava molto. La commedia di costume è nata in quel periodo e quel cinema sapeva raccontarci a tutto il mondo. Forse allora la realtà era più semplice da analizzare e raccontare. Non c’era la globalizzazione e l’Italia era un Paese dalla forte personalità. All’estero probabilmente prediligevano i racconti su un italiano un po’ stereotipato, solare, simpatico, furbo, caciarone, spesso poco affidabile e anche sciupa femmine. Questo cinema nasceva da personaggi indimenticabili interpretati da attori come Alberto Sordi, Marcello Mastroianni, Ugo Tognazzi, Vittorio Gassman e che hanno fatto grande il nostro cinema. Allora in Italia si giravano più di 300 film all’anno, quindi era una industria, di alto artigianato. Oggi quell’Italia non c’è più, ci siamo forse impigriti e non ci sono più ‘maestri’ che trasmettano l’arte di questo mestiere ai giovani. Non esiste più il concetto di gavetta e vince l’illusione che basta maneggiare una telecamera automatica e digitale per diventare autori. Si realizzano film ‘graziosi’, soprattutto commedie sul presente, gradevoli ma molto teatrali, di ‘sapore’ televisivo, girate a basso costo senza grandi ambizioni. Il cinema di genere è quasi scomparso… e pensare che un signore di Trastevere reinventò un genere tipicamente americano come il western: Sergio leone!

E’ vero, ancora oggi Sergio leone ispira e influenza un cineasta geniale come Quentin tarantino! Cesare, ti ho visto più di una volta lavorare sui set… una delle qualità che mi hanno colpito in modo particolare, è la tua pacatezza e apparente tranquillità nel gestire situazioni a volta assolutamente deliranti! Sei così per davvero o alla fine della giornata vai a distruggere lavandini nei bagni? (CIT. film ‘Ubriaco d’amore’ di Paul Thomas Anderson) Qual è il tuo segreto?

Sono così di carattere, non ci sono segreti. La timidezza, la scarsa fiducia in sé stessi a volte viene superata con la forza di volontà, tenacia, a volte pignoleria e perfezionismo… tutti valori che oggi non vengono particolarmente apprezzati. Diciamo che c’è un ‘ego’ molto diffuso e strabordante… Io tendo a mettermi sempre al servizio del film, del suo autore e in qualche modo mi sento protetto e a mio agio. Poi, se la storia è ambientata in un luogo che amo (il mio apporto nei film di Pupi Avati in tutti questi anni è proprio quello delle locations che gli ho trovato per alcune storie), allora è anche quel luogo che mi protegge, che mi trasmette familiarità e calma, che mi aiuta a non fermarmi mai, a non ‘dargliela su’ mai, a non stancarmi mai…

Dalla pellicola al digitale… come hai vissuto e gestito questo importante passaggio? Quali sono i pro e quali i contro delle riprese cinematografiche in digitale?

Ci sarebbe molto da dire! A volte il digitale è portatore di un equivoco: Dante scrisse la Divina Commedia con la penna d’oca. Strumento scomodo che implicava lo spennare un animale da cortile e il dover intingerla spesso nell’inchiostro. Ma era pur sempre Dante, impossibile da imitare. Poi alla fine dell’ ottocento nacquero le moderne stilografiche con cui scrivevano Dickens, Cechov, Verga, etc. Nel 1938 il signor Birò inventò la penna a sfera e facilitò la scrittura rendendola più accessibile a tutti. Scrissero quindi Montale Hemingway, Flaiano, Moravia… Eccellenti letterati ma anche persone rare. Se portiamo il discorso nel campo dell’immagine, prima c’era la pellicola e ora c’è il digitale. Ecco secondo me l’equivoco: la cinecamera digitale è leggera, comodissima, non costosa, molto sensibile, piena di automatismi, non occorre più sviluppare la pellicola e tutti la possono usare, quindi nasce l’illusione che basta possedere una camera digitale per essere registi e autori cinematografici e diventare novelli Spielberg… E’ evidente che non può essere così. Il digitale in fondo è solo uno strumento molto comodo, come la penna biro. Ma non basta possedere l’ultimo modello di telecamera per realizzare il film più bello: bisogna sempre e comunque avere la conoscenza della grammatica del raccontare per immagini, bisogna comunque avere dentro qualcosa da narrare, bisogna avere sofferto un poco nella vita ed essersi un po’ temprati e… bisogna avere mestiere. Il digitale stupisce per sua definizione, ma le sue immagini, come dice Tarantino, sono gelide, immobili. Invece, quelle della pellicola sono in un costante, brulicante movimento dato dalla grana. Si tratta di chimica organica contro dei bit. Si tratta di colori che nascono dal fatto che la luce degli oggetti ripresi attraversa i vari strati della pellicola diversamente sensibili ai colori primari naturali. Diversamente, nel digitale i colori sono già lì, immagazzinati dalla fabbrica nella camera che se ne serve per avvicinarsi alla riproduzione della realtà, quindi sono più artificiali. Io non sono contro la tecnologia, anzi la uso. Ma non dimentico di colpo la manualità, artigianalità, la necessità del bello. I grandi registi continuano ad usare la pellicola: Tarantino, Spielberg, Sorrentino. E’ una filosofia oltre che un fatto tecnico. Avere una pellicola che gira dentro uno chassis assomiglia ad un rito religioso che zittisce tutti, che fa concentrare tutti, che fa dare a tutti il meglio di sé. Il digitale è meno impegnativo, più amichevole, quasi ‘goliardico’.

Purtroppo quasi sempre veniamo tutti colpiti dal ‘Virus del Low Budget’, nel tuo specifico caso significa che spesso non ti viene dato tempo e mezzi adeguati per esprimere tutta la tua creatività e (a mio parere) genialità. La domanda che ti pongo è fantasiosa, ma il cinema è fatto per sognare, giusto? Quindi: se un produttore improvvisamente decidesse di fare con te un film a ‘Normal Budget’, quindi ti venisse dato tutto ciò che ti occorre, cosa chiederesti? (anche a livello tecnico oltre che il tempo a disposizione).

Il low budget che sognano i videomaker per i loro film non esiste perché per girare un film occorre una troupe di professionisti, occorrono i mezzi, occorrono una serie di obiettivi costosissimi, occorre uno scenografo che interpreti la storia e adatti le location, quindi è una macchina complessa e costosa. Ma se non esiste il lowbudget esiste però la ‘sceneggiatura low’: spesso gli autori si allargano tantissimo nella scrittura, prevedono molte ambientazioni, che implicano spostamenti in location difficoltose, prevedono arditi movimenti di macchina che richiedono lunghi bracci telescopici manovrati da tecnici particolari, o riprese aeree o costruzioni, etc. In realtà si può fare un film bellissimo tutto girato in una stanza con pochi attori. Uno dei film più belli di Pupi Avati è ‘regalo di Natale’, la storia di una partita a poker che si gioca intorno ad un tavolo. Il film, per risparmiare fu girato in pieno inverno in una villa di Fregene, sul litorale romano. La villa era bella e in estate l’affitto ero costosissimo. Ma in inverno non costò quasi nulla… essendo tutto girato in una sola location le riprese procedettero molto velocemente e il film fu girato in poche settimane. E’ così che si ottengono i lowbudget, non scrivendo una specie di colossal e obbligando una piccola troupe a massacrarsi di fatica correndo e lavorando ognuno per due o tre persone e trasformando la lavorazione di un film non in quello che sarà un piacevole ricordo ma un delirio denza fine. Naturalmente per realizzare un bellissimo progetto come quello del Maestro Pupi Avati occorre avere un grande talento.

Per diventare Direttore della Fotografia nel Cinema, quali caratteristiche e inclinazioni devono avere i giovani appassionati a questa forma d’arte e soprattutto che tipo di preparazione e studio devono intraprendere?

La passione Chiara, occorre innanzitutto passione e dedizione. E poi la voglia di raccontare di sè, magari perché ci si sente un po’ diversi o troppo sensibili. O perché ci si vorrebbe distinguere senza però imporsi e restando fedeli a sé stessi. Oppure perché si è timidi e la macchina da presa è un bel filtro tra noi e la realtà e ci nasconde e ci protegge e l’usarla ci fa apparire un po’ speciali… Sempre per citare la mia fortuna io nasco un po’ ‘analogico’, perché sono nato con macchina fotografica e pellicola. E’ una scuola incredibile, perché la pellicola è costosa, non puoi sbagliare e devi diventare bravo in tempi brevissimi! Non c’è stato mai stato spazio per esperimenti ed errori. QUINDI OGNI SCATTO LO DEVI PENSARE, devi stare attento al diaframma, non puoi andare a caso. Lucio (Dalla) mi prendeva sempre in giro e diceva che ero un fortissimo lettore di libretti di istruzione. Oggi chi legge più? Oggi si può provare, riprovare e tutto senza costo perché si cancella e si ricomincia. Ho iniziato con la fotografia, mi stampavo da solo le fotografie con l’ingranditore e i liquidi. E’ molto utile per capire il rapporto tra luce e ombra, è molto utile inquadrare la realtà e le cose, per sviluppare il senso della composizione dell’immagine. Consiglio a tutti gli aspiranti cineasti di INIZIARE FOTOGRAFANDO. Ovviamente non con il cellulare o con una macchina che abbia solo il display, ma che abbia invece un mirino, perché le inquadrature non si fanno guardando uno schermino a distanza, ma si fanno mettendo l’occhio dentro all’oculare del mirino, per avere chiaro quale parte della realtà vuoi raccontare. Volendo, dato che la pellicola è data per morta ma non lo è ( come per i dischi in vinile che stanno ritornando), si potrebbe anche iniziare con una macchina fotografica analogica. Però bisogna anche istruirsi, studiare, leggere i manuali. Ci sono testi di fotografia, circoli di appassionati che si confrontano e lavorano insieme. Poi ci sono scuole, ma bisogna stare attenti: In Italia spesso, CHI NON RIESCE A FARE UN MESTIERE FINISCE PER INSEGNARLO E NON E’ UN PARADOSSO MA UNA TRISTE REALTA’. Quindi consiglio di frequentare scuole i cui docenti siano dei veri professionisti, DEI VERI ARTIGIANI. In Italia, la scuola di cinema più quotata è il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. L’accesso però non è semplicissimo. Forza e coraggio!

Come direttore della fotografia, quale ritieni possa essere la tua caratteristica speciale, che ti rende unico nel tuo modo di creare, illuminare e regalare emozioni? In pratica, come si riconosce la tua ‘firma’ nella fotografia di un film?

Grazie Chiara della tua stima ma penso che nei film in cui ho curato la fotografia non si riconosca la mia mano. E’ come in pittura: ci sono i grandi (Raffaello, Giotto, Leonardo, Caravaggio) la cui mano si riconosce subito. Essere autori significa proprio questo: avere uno stile personale e unico, riconoscibile. Succede così anche in cinema: vedi un film il cui autore della fotografia è ad esempio, Vittorio Storaro, un vero Maestro e riconosci subito il suo stile, di qualunque genere e regista sia il film. Ma non è il mio caso. Io sono un artigiano e non un artista. Seguo sempre una unicità contro la banalità, cerco sempre di creare atmosfera, di non realizzare immagini piatte, anonime, prive di ombre e di profondità, di adattarmi ( e forse è la cosa più difficile oltre che la più necessaria) alla storia raccontata. OGNI STORIA HA LA SUA LUCE, la sua ambientazione, IL SUO COLORE. Quindi è questione di talento, esperienza, di passione. Il tempo nel cinema è preziosissimo e non è mai abbastanza, quindi il tempo è l’elemento più costoso. Per fare una illuminazione curata occorre tempo da sottrarre alla regia e agli attori e non sempre questo è possibile o ti viene concesso. Per esempio, alcuni film girati in America dovevano avere un’atmosfera morbida, senza contrasto, anche in interni. Durante alcune riprese con il sole molto forte e il cielo sereno, il direttore della fotografia fece alzare in volo degli elicotteri che sollevarono un enorme telo di seta, grande come mezzo campo da calcio, teso sulla zona delle riprese per creare una nuvola artificiale, ammorbidendo così il sole… Sfida abbastanza facile da vincere, con i mezzi che c’erano in quel caso a disposizione. MA NEGLI STATI UNITI IL BUDGET DI UN FILM E’ PARI QUASI A QUELLO PER PROGETTARE UN MODELLO NUOVO DI AUTOMOBILE. I cinema americano deve essere venduto in tutto il mondo, deve piacere a tutti, quindi gli investimenti sono altissimi. Io mi sono anche trovato a dover risolvere una scena con un faretto a batteria tenuto in mano da un elettricista appollaiato in cima ad una scala… questa devo dire è una mia caratteristica, la mia ‘firma di fabbrica’: mi so adattare a QUALUNQUE situazione, cerco e ottengo spesso il massimo col minimo a disposizione.. A VOLTE SI OTTENGONO MIGLIORI RISULTATI PROPRIO LAVORANDO PER SOTTRAZIONE. E quando invece mi devo accontentare e non posso esprimere il massimo, allora soffro un po’. Ma mai per il mio ego frustrato. Mai. Ma solo perché vorrei fare vivere al meglio il film, per il regista e per il pubblico che lo andrà a vedere. IL PUBBLICO E’ DAVVERO SEMPRE IL MIO PRIMO PENSIERO, CREDO CHE SIA GIUSTO DARGLI SEMPRE IL MEGLIO, ANCHE SE NON SEMPRE E’ POSSIBILE.

Grazie Cesare per questa bellissima chiacchierata, sono felice di avere fatto questa conversazione con te così (ecco il gioco di parola) ILLUMINANTE (l’ho detto!) perché molti ragazzi e ragazze appassionati di cinema, quello vero, avranno sicuramente tratto spunti, ispirazione e ottimi consigli da un VERO ARTIGIANO del cinema d’autore. Non vedo l’ora E ME LO AUGURO di ritrovarmi con te in un nuovo film…!

ME LO AUGURO ANCHE IO!