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Geolier e la sua Campania contro il resto d’Italia?

Geolier ha dimostrato che l’identità campana popolare può mostrarsi senza inchini e reverenze sui palchi nazionali, irritando chi ritiene questo urti frontalmente la cultura “alta” italiana.

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Geolier al festival porta involontariamente allo scontro l'identità campana con quella nazionale
Crediti foto Geolier instagram

Geolier e la sua Campania contro il resto d’Italia? Verrebbe da dire di sì guardando alle polemiche che non si placano, dopo che il trionfo del cantante al televoto è stato ribaltato dal voto degli esperti di tv e radio che si sono coalizzati per far vincere Angelina Mango (meridionale anche lei, fra l’altro). Polemiche che Gelolier tenta di stemperare dalla finale di sabato scorso, ma che invece procedono infuocate a prescindere dalla volontà del cantante. Perché questo giovane ha scatenato un tale putiferio?

La questione campana

Il problema sollevato da Geolier con la sua presenza con una canzone in dialetto partenopeo non è musicale, ma culturale: l’Italia è una nazione che ha una centenaria cultura “alta” conosciuta da tutti grazie alla scuola (una cultura poetica, romanzesca, pittorica, ecc), ma questa è spesso poco più di una verniciatura che nasconde una nazione in cui la cultura sentita da ognuno di noi è quella della propria regione. Una cultura fatta di cibi tipici, modi di pensare la famiglia e il lavoro, di dialetti, di modelli di comportamento tanto diversi quanto diverso è il clima fra Palermo e Trento. L’Italia quindi è un Stato che contiene al suo interno almeno 20 popoli, che convivono felicemente assieme fingendo di mettere da parte le proprie peculiarità per darsi una patina “italiana”. Amadeus giocando la carta Geolier non si è accorto d’aver scrostato la rassicurante patina tricolore per mostrare quel che è meglio nascondere sotto il tappeto: il fatto che Napoli e la Campania vivono l’italianità di facciata come un abito troppo stretto, che non vedono l’ora di gettare via alla prima occasione.

Napoli ha il suo mercato discografico

La Campania ha da sempre una scena musicale propria, parzialmente staccata a livello di produzione e di vendite da quella nazionale, una scena che vive grazie ad un bacino potenziale di 5 milioni e mezzo d’ascoltatori residenti in regione, più un altro paio di milioni emigrati per ragioni studio o lavoro in altre zone d’Italia (specie le aree industriali del nord). La scena campana non solo ha proprie sonorita chiaramente distinguibili (neomelodico e affini) ma utilizza come lingua base il napoletano, generando un fortissimo attaccamento identitario fra interprete e pubblico. Un’attaccamento che trova riscontro nei live sempre gremiti, nella quantità di dischi venduti nonostante la crisi del supporto del supporto fisico, ma soprattutto nell’utilizzo della musica in dialetto per grandi eventi comunitari come feste di matrimonio, battesimi e compleanni, che ne fanno un veicolo perfetto per tramandare l’identità regionale da una generazione all’altra. Come si colloca la scena musicale campana nei confronti alla scena nazionale? Viaggia felicemente in parallelo: i due mondi si sfiorano raramente (il successo nazionale di Pino Daniele e Gigi D’Alessio), ma normalmente si ignorano fingendo di non abitare nello stesso universo. Amadeus invitando Geolier ha costretto i due mondi a stare appiccicati sulle stesso palco, una coabitazione che si è dimostrata fortemente drammatica. Ma perché?

Geolier e Angelina Mango: il problema non è essere meridionale, è fare il meridionale.

Il problema non è essere meridionali: Angelina Mango, Annalisa, BigMama, Negramaro per fare alcuni esempi di quest’anno sono fieramente meridionali quanto Geolier. La differenza sta nel loro evitare di mostrarlo: indossano comodamente i panni della cultura italiana per presentarsi al pubblico nazionale. Geolier no: lui non solo è napoletano, ma fa il napoletano. Si dirà: ma anche Teresa de Sio e Pino Daniele hanno cantato in dialetto. Sì, ma alternavano dialetto ed italiano, e subordinavano la loro identità regionale a quella italiana, rassicurando il pubblico non campano che l’identità regionale esiste, ma non pretende di stare sopra e nemmeno accanto a quella tricolore, ma si accontenta di stare sotto, pur di potersi esprimere ed essere riconosciuta al di là dei confini regionali. Geolier invece sostiene che l’identità napoleatana è alla pari di quella italiana, e può scegliere di mostrarsi senza riverenze nei confronti della sorella nazionale. Non solo: l’identità campana proposta da Geolier non è quella della Napoli di classe media o dell’aristocrazia residuale partenopea, ma la Napoli popolare, quella delle periferie composte da lavoratori sull’orlo della sopravvivenza, disoccupati cronici e gente esperta nell’ “arrangiarsi”. Una Napoli spesso accusata di essere omertosa nei confronti della Camorra o persino di essere camorrista tout court, nonostante sia la Camorra a ispirarsi ai valori della cultura popolare campana e non viceversa. Per comprenderlo basta fare un semplice gioco mentale: è come se un veneziano ogni qual volta mostrasse apertamente di provenire dagli strati popolari della città di San Marco, venisse accusato di promuovere ed essere connivente con la Mafia del Brenta.

Le polemiche su Geolier a breve si placheranno, ma il problema non scompare

Geolier e la sua Campania contro il resto d’Italia? Sì, anche se fra poco Sanremo verrà rimesso in soffitta per tornare l’anno prossimo. Lo scontro però attende solamente un nuovo palcoscenico per ripresentarsi: l’identitarismo campano sopporta sempre meno il doversi nascondere, tanto più che adesso ha potuto manifestarsi liberamente dimostrando di avere giovani rappresentati di qualità e i numeri in termini di ascolto (e non solo) per rapportarsi alla pari con la cultura italiana.

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