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Fallout: i videogiochi macinano più profitti del cinema

Fallout: i videogiochi macinano più profitti del cinema, che cerca di accalappiare il vasto bacino dei gamers per tornare a fatturare. Un bacino di pubblico che ha meno problemi di quello cinematografico con i concetti di serialità e mondi condivisi, concetti necessari per far risollevare economicamente un media in crisi dopo il covid

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Fallout: i videogiochi macinano più profitti del cinema, che cerca di accalappiare il vasto bacino dei gamers per tornare a fatturare. Un bacino di pubblico che ha meno problemi di quello cinematografico con i concetti di serialità e mondi condivisi, concetti necessari per far risollevare economicamente un media in crisi dopo il covid
Crediti Foto amazonprimeit Instagram

Per coloro che non conoscono i numeri dell’industria dei videogiochi, l’idea che il cinema produca meno profitti dei games può sembrare assurda. Non è forse il cinema l’arte e la forma di spettacolo che ha divorato tutte quelle precedenti (romanzi, teatro, balletto, ecc)? Non è forse il cinema ad essere il prodotto culturale che l’occidente esporta di più nel resto del mondo? Com’è possibile che un passatempo che ha poco meno di quarant’anni, e che da nemmeno 20 cerca di divenire una vera e propria arte, abbia superato il più anziano e prestigioso fratello maggiore sulla fondamentale questione profitti?

Non esistono più le arti di una volta

Quando uscì la versione occidentale di Super Mario Bros, la Nintendo diede ai produttori la licenza gratuita sul contenuto. Il colosso giapponese infatti pensava che un media molto più prestigioso, diffuso ed economicamente ricco avrebbe pompato le vendite del proprio gioco. Questo succedeva nel 1993, appena 30 anni fa. Oggi la questione si è completamente ribaltata: il cinema cerca di acquistare le licenze dei giochi più venduti sperando che i fan hardcore del game vadano al cinema (o acquistino l’abbonamento al canale di streaming) per vedere la versione filmica della loro storia preferita.

Tutta questione di numeri

Nell’anno 2023 l’industria dei videogiochi ha fatturato 184 miliardi dollari, che secondo previsioni attendibili dovrebbero arrivare a 300 miliardi di dollari nel 2026. Il cinema, al contrario, ha fatturato poco più di 90 miliardi di dollari l’anno scorso, contando anche sull’effetto volano delle riaperture dopo la fine della pandemia. Per capire la differenza fra un successo nel mondo dei videogiochi e uno del cinema basta un semplice esempio: Minecraft ha venduto 300 milioni di copie, mentre un enorme successo cinematografico come Barbie ha staccato 100 milioni di biglietti nel mondo. Ma è la frequenza di approccio al media a fare la vera differenza: circa 3 miliardi e 200 milioni di persone hanno giocato ad un videogioco nel 2023, contro un 1 miliardo di persone che sono andate al cinema e/o sono abbonate a servizi di streaming nello stesso lasso di tempo.

La serialità

La vera questione interessante tuttavia è il differente approccio del pubblico di videogiochi e cinema al concetto di serialità. Nel mondo dei videogiochi la serialità è una prassi da sempre ben vista: il pubblico si aspetta che ogni gioco di successo produca sequel a cadenza regolare, e che questi sequel offrano all’acquirente qualche piccola novità diluita nel “more of the same”. Il pubblico cinematografico, al contrario, ha un rapporto conflittuale nei confronti dei film pensati per essere seriali: fenomeni come Fast&Furios (giunto al decimo capitolo) sono celeberrimi perché rari, dato che la norma è la parabola d’incassi discendente in stile Matrix, che ad ogni sequel ha incassato meno del precedente (fino al disastro del quarto capitolo). Più vicino alla mentalità del mondo dei videogiochi è il pubblico delle serie tv, che può seguire i propri beniamini perfino per 10 stagioni, anche se spesso la parabola discendente in termini di ascolti arriva molto prima dell’ultimo episodio dell’ultima stagione.

Gli universi condivisi nel cinema: la storia di un successo divenuto flop in nemmeno 10 anni

Quando nel 2008 la divisione cinematografica della Marvel fa uscire Iron Man, il successo al botteghino è strepitoso (paragonato ai flop precedenti della stessa scuderia, ovviamente). Nasce così l’idea di creare un mondo cinematografico condiviso che partirà timidamente nel 2010 con i primi film dedicati ai vari supereroi che poi comporranno la leggendaria squadra degli Avengers, che regaleranno alla Marvel un film campione nella storia d’incassi cinematografici come Avengers: Endgame. L’universo condiviso creato dalla Marvel, verrà poi copiato dalla DC e dal Monsterverse creato intorno ai mostri partoriti dalla casa cinematografica giapponese Toho. Conosciamo tutti la storia degli universi condivisi: per quasi un decennio hanno funzionato in termini di pubblico e di critica, per entrare inesorabilmente in crisi durante il periodo Covid e non riprendersi più finita la pandemia. Le ragioni di queste crisi non sono ancora ben chiare, c’è chi attribuisce la colpa ad un calo netto in termini di qualità di sceneggiatura ed effetti speciali dei film, chi punta il dito contro il politicamente corretto sempre più onnipresente nel cinema blockbuster statunitense, chi sostiene che dopo 10 anni di supereroi e mostri in heavy rotation (fra film, serie, cartoni animati, ecc) il pubblico sia esausto. Qualunque siano le cause, a Hollywood gira voce che ormai approcciare un produttore proponendogli una serie di film basati su un universo condiviso è un modo sicuro per farlo scappare terrorizzato.

Gli universi condivisi nei videogiochi: le vendite in costante espansione

Contrariamente a quanto avviene nel cinema, gli universi condivisi nei videogiochi sono sempre più numerosi, ma soprattuto convincono pubblico e critica. Dalle serie targate Total War (24 anni di onorata carriera) passando per i mondi creati dalla Paradox, per non scomodare un mostro sacro come Final Fantasy (con tutti i crossover annessi e connessi) e gli Star Wars, gli universi condivisi sembrano espandersi senza battute d’arresto. Il pubblico dei videogiochi infatti è molto più resistente alla noia generata dal “more of the same”, ma soprattutto perdona molto più facilmente di quello cinematografico capitoli poco riusciti o spin off non andati a segno (ad esempio “Fallout 76”, la versione multigiocatore del GDR Fallout).

La serie Fallout e il timore di un mondo condiviso cinema/videogiochi da parte dei gamers

E’ ufficiale che la serie tv Fallout avrà un seguito. Una notizia che non ha stupito particolarmente il mondo dei gamers, dato che la serie videoludica di Fallout ha venduto 50 milioni di copie, in costante aumento capitolo dopo capitolo. Il successo della serie tv ha però generato alcuni timori nella community legato al gioco: se la serie tv diventa canonica anche per la trama del gioco, e probabilmente oltre alle serie si faranno film e cartoni animati, non finirà come nell’MCU in cui per capire l’ultimo film bisogna aver seguito anche le serie tv, i film e i cartoni animati precedenti? Non è che adesso, per giocare a Fallout e capirlo, ci toccherà anche sorbirci film, serie e cartoni prodotti da Amazon? Oppure il videogioco farà la fine dei fumetti Marvel divorati dall’MCU, che ha trasformato le graphic novel dei supereroi in mere pezze d’appoggio promozionali dei propri prodotti cinematografici? Nonostante siano comprensibili, guardando solamente i numeri nessuno dei due timori è fondato: è il mondo dei videogiochi a fatturare il doppio di quello del cinema, e non vicerversa.
Se esiste un rischio di inglobamento e snaturamento, non saranno certo i videogiochi a subirlo e anzi, è il cinema che dovrebbe cominciare a tremare.

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