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Cronaca Nera

Quello che non sai delle vittime di Jack, la vera storia delle cinque donne trovate nei vicoli di Londra

Chi erano le vittime di Jack lo Squartatore? Scopriamo insieme chi erano e ridiamo loro una dignità

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Crediti Foto: crediti foto screenshot da video YouTube

Jack lo Squartatore (Jack the Ripper), il primo serial Killer della storia, che grazie ai suoi terrificanti delitti è divenuto una celebrità, non troverà qui nessuna gloria. Qui si vuole solo restituire una dignità alle sue vittime, che ingiustamente ed erroneamente sono state definite dalla stampa dell’epoca ‘prostitute‘, etichetta che gli è rimasta crudelmente appiccicata nella storia di quegli anni ed è giunta così sino ai giorni nostri. Questo appellativo non rende loro giustizia, in quanto non corrisponde al vero, non per tutte almeno e dunque vogliamo raccontare una ad una le loro storie, per ridare un decoro a quelle povere donne che hanno avuto una vita sfortunata, che si è conclusa con il tragico incontro con quel violento serial killer, il cui macabro operato ha destato interesse, al punto che è stato addirittura istituito un campo di studi dedicato ai suoi crimini, chiamato Ripperology.

Jack. Crediti foto: screenshot da video YouTube

La sua mancata cattura lo ha avvolto nel mistero e negli anni, l’incognita sulla sua identità lo ha reso un vero divo. Su di lui sono stati ispirati film, videogiochi, libri e addirittura nel quartiere di Londra chiamato Whitechapel, dove nel 1888 vennero uccise e squartate le sue vittime, vengono organizzate visite guidate sui luoghi dei crimini, ed è persino stato aperto un museo dedicato al serial killer più sadico della storia criminale. Nelle intenzioni iniziali, il museo era destinato a raccontare la “storia delle donne dell’East End, attraverso i loro occhi, ma in realtà, ci si trova davanti ad un’attrazione dedicata quasi esclusivamente all’assassino, tanto che da più parti ne è stata chiesta la sua chiusura, perché induce alla violenza contro le donne”.

Ma lasciamo questo furioso assassino alla sua immeritata gloria e veniamo alle sue vittime. Il numero di omicidi ricondotti da diversi studiosi alla sua attività criminale, spazia tra le quattro e le sedici donne, ma ufficialmente, a lui ne sono state attribuite ‘solo’ cinque. Tutte donne che come detto sopra, la stampa di allora appellò come ‘prostitute’, senza ovviamente diritto di replica, essendo le poverette perite sotto i colpi di Jack lo Squartatore. Ma perché definirle prostitute? Non vi è traccia di un contatto fisico tra le vittime ed il carnefice, non vi è riscontro positivo con un atto sessuale avvenuto subito prima della loro morte, allora perché? All’epoca veniva facile pensare che le vittime fossero meretrici, donne che avevano scelto consapevolmente questa riprovevole professione, perché questo concetto impediva alla gente di provare empatia e di sentirsi in qualche modo coinvolta. Questa affermazione, da un lato proteggeva emotivamente, dall’altro sconfiggeva la paura. Pensare che fossero prostitute dunque, andava bene per tutti. Ma la loro storia dice altro e ora lo vedremo nel dettaglio. Sono donne che hanno avuto una famiglia, dei figli, un lavoro e alla fine, si sono perse a causa della bruttura di un’epoca dove tante credenze errate, facevano si che alcune anime (soprattutto femminili) si perdessero senza che nessuno facesse nulla per aiutarle. Gregg Jones, nel suo ‘Omicidio, media e mitologia’, racconta di una “società in cui la mancanza di opportunità le ha costrette ad un percorso che ha portato al loro omicidio; in tal modo, la società vittoriana era un po’ complice nell’uccisione di queste donne.”

La storica britannica Hallie Rubenholf,  ha deciso di dedicare un libro proprio alle cinque donne assassinate e mutilate nell’autunno del 1888: Mary Ann Nichols, Annie Chapman, Elizabeth Stride, Catherine Eddowes e Mary Jane Kelly. Il libro si chiama ‘The Five’ (le cinque donne) e parla delle vittime di Jack come di donne che portano ancora impressi il marchio e la forma che i valori vittoriani hanno dato loro: maschili, autoritari e borghesi. Valori elaborati in un’epoca in cui le donne non avevano né voce, né diritti. Per questo libro, la Rubenholf è stata accusata di essere una femminista ed è stata presa di mira ed insultata dai troll nei social. 

Ma veniamo a noi e alle vittime di un mostro e vittime anche di un’epoca: l’epoca Vittoriana, l’epoca inglese che prende il nome dal regno della regina Vittoria, un’era colma di usanze e riti decisamente bizzarri, sicuramente fra i più strani di tutte le epoche, a partire dalla morte, che in quel periodo assumeva dei contorni davvero assurdi.

Mary Ann Nichols detta Polly (prima vittima)

Polly. Crediti foto: screnshoot da video YouTube

La vita di Mary Ann Nichols (Walker da nubile), da tutti soprannominata Polly, fu segnata da molte difficoltà. Nacque a Londra nel 1845 da un fabbro ed aveva due  fratelli. Un’infanzia umile la sua, ma dignitosa. Polly frequentò la scuola sino ai 15 anni (cosa assai rara per una donna di allora). I familiari di Polly, come tutte le famiglie del ceto povero, vivevano tutti nella stessa stanza in stabili fatiscenti dai muri ammalorati. Nel 1852 la madre di Polly si ammalò di tubercolosi e morì dopo poco. La seguì il piccolo figlioletto di 3 anni. Polly di conseguenza, si prese cura negli anni a venire del padre e del fratello, diventando lei la ‘donna di casa’.  Si sposò nel 1864 con William Nichols, magazziniere tipografo, dal quale ebbe cinque figli. Malgrado il matrimonio sia durato oltre vent’anni, non fu particolarmente felice, sia per la situazione economica che saliva e scendeva rapidamente di continuo, sia per la perdita di uno dei figli a solo un anno di età.

La coppia si separò almeno cinque o sei volte prima di arrivare alla rottura definitiva, nel 1881. Il padre della donna accusò William di aver tradito la figlia con Rosetta, la vicina di casa amica di Polly, che l’aveva anche aiutata durante l’ultima gravidanza. William dal canto suo, imputava alla moglie problemi di alcolismo. In effetti William e Rosetta avevano una relazione e allora si, Polly presa dalla disperazione iniziò a bere e a scappare continuamente a casa del padre e del fratello, ma loro, secondo le regole del tempo, la rispedivano sempre al mittente, ovvero a casa del marito, dove lui e Rosetta la umiliavano con la loro relazione. Polly tradita e picchiata da William, nel 1880 se ne andò da casa per sempre, ma senza i suoi figli perché non poteva crescerli da sola. Lei non avrebbe voluto abbandonarli, ma portandoli con sé, li avrebbe condannati a morte certa. E così Rosetta prese completamente il suo posto accanto a suo marito e fece da madre ai suoi 5 figli.

Polly era disperata, non aveva un posto dove andare e si rivolse subito ad una casa lavoro, una workhouse, un posto dove in teoria, chi non era in grado di supportarsi finanziariamente, trovava alloggio e impiego, ma di fatto questi luoghi non davano nessun tipo di formazione e la gente che vi si rifugiava, veniva lasciata in condizioni di miseria e di salute precarie. All’interno delle workhouse ci si lavava in un’acqua sporca dove tutti quel giorno si erano lavati e venivano distribuiti abiti usati e sudici, il più delle volte pieni di pulci e pidocchi. Parassiti e cibo infetto in quei posti creavano continue epidemie. Insomma, c’era chi diceva che fosse meglio fare l’elemosina o prostituirsi per strada che entrare in uno di quei posti. La workhouse nell’epoca vittoriana era davvero considerata l’ultima spiaggia. E così, dopo 16 anni di duro lavoro e di vita familiare in cui Polly si era con fatica costruita una posizione nella società, con la separazione all’improvviso la donna perse tutto, anche la dignità, perché questa era l’epoca in cui viveva, questo era il valore che veniva attribuito alle donne separate nell’epoca vittoriana. Non potevano rifarsi una vita accanto ad un uomo perché di fatto, venivano considerate sposate per sempre, per cui anche se giovani, dovevano restare sole. 

Con la separazione Polly ebbe diritto a ricevere dal marito cinque scellini alla settimana, che però non venivano dati a lei, ma alla workhouse che la ospitava, legandola così per sempre ad essa. Polly, sposata ma senza marito, veniva ritenuta dalla società dell’epoca una ‘poco di buono‘ e per questo non poteva avere altri uomini altrimenti sarebbe stata tacciata di adulterio. Ad un tratto, William riuscì a dimostrare che Polly avesse un altro uomo e anche se non si sa se corrisponda al vero, le vennero tolti anche quei miseri 5 scellini a settimana, unica sua fonte di sostentamento.

Da quel momento in poi la vita di Polly fu una progressiva discesa verso la totale indigenza e l’assoluta dipendenza dall’alcol. Dopo un anno di workhouse finalmente il padre ed il fratello decisero di riprenderla in casa, ma ormai la sua dura esistenza l’aveva segnata per sempre e lei non era più la stessa. Alcolizzata e disperata, se ne andò di nuovo e poco dopo, conobbe un vedovo: Thomas. La morte del fratello Edward però, la sconvolse ulteriormente e la portò alla separazione da Thomas. Riuscì a trovare lavoro come domestica presso una famiglia benestante, ma il tassativo divieto di bere alcolici la portò ad abbandonarlo, dopo aver rubato dei vestiti. Ormai Polly aveva toccato il fondo e viveva per strada come tante altre anime perse.

La notte in cui fu assassinata, la donna dopo aver trascorso la serata in un pub, andò nel fetido pensionato dove talvolta dormiva, ma non aveva i soldi per pagare e così chiese al custode di tenerle un posto letto, mentre lei usciva per procurarsi il denaro. Emily Holland, una sua compagna di stanza, la incontrò intorno alle 2.30 di notte e Polly le raccontò di aver guadagnato il denaro necessario per la pensione per ben tre volte quella sera, ma di averlo poi consumato tutto in alcolici. Ubriaca e barcollante le disse che avrebbe provato nuovamente a procurarsi i pochi soldi necessari per il posto letto, ma probabilmente il suo incontro successivo fu proprio quello con Jack lo Squartatore. Sentì il bisogno di riposare e si sdraiò a terra in uno squallido vicolo di Whitechapel e quella fu l’ultima volta che Polly chiuse gli occhi. Il cadavere fu scoperto intorno alle 3.45 della notte del 31 agosto 1888, probabilmente pochi minuti dopo la sua morte, stando alle dichiarazioni del medico chiamato sul luogo del delitto. “Una prostituta!“, dissero subito di lei i giornali, ma le altre clochard dichiararono con fermezza che questo non corrispondeva affatto al vero, dissero che Polly si sarebbe uccisa piuttosto di prostituirsi.

Polly fu seppellita il 6 settembre 1888 nel City of London Cemetery and Crematorium. Erano presenti suo padre, suo marito e il figlio maggiore, riuniti davanti alla sua tomba, ma completamente distaccati tra loro. Polly, occhi spenti e corpo ricucito, era li davanti a loro e il marito William pronunciò queste parole: “Ti perdono per come ti sei ridotta, ti perdono per ciò che sei stata per me!

Annie Eliza Smith Chapman (seconda vittima)

Annie. Crediti foto: screenshot da video YouTube

Annie Eliza Smith Chapman nacque a Londra il 25 settembre 1840. Figlia di un soldato, visse la sua infanzia in una caserma dove ricevette un’istruzione più alta della media e le vennero anche insegnati alcuni mestieri, come ad esempio quelli di sartoria. Le malattie in quell’epoca, date anche le scarse condizioni di igiene in cui si viveva, facevano delle vere e proprie stragi, soprattutto tra i bambini. Le famiglie più benestanti che potevano permettersi un fotografo, facevano scattare un’unica foto ai propri figlioletti, che doveva servire per la memoria post mortem nel caso gli venissero ‘portati via’ da piccoli. E difatti, la scarlattina e il tifo portarono via i fratellini di Annie in pochi giorni. In tre settimane, quattro dei suoi fratelli vennero letteralmente falciati via dalle malattie. Sopravvissero solo Annie e la sorella Emily. Dopo qualche anno nacquero altre due sorelle.  Annie, ormai cresciuta, andò a lavorare come domestica e dunque sembrava esserci stata una ripresa, finché un brutto giorno, il padre di Annie venne trovato con la gola tagliata. All’improvviso, gli unici soldi che entravano in famiglia, erano quelli che portava Annie. Bisogna dire però, che la famiglia venne aiutata da un ufficiale da cui aveva lavorato il padre di Annie. Questo ufficiale diede un sostegno mensile alla famiglia.

Nel 1869, Annie sposò il cocchiere John Chapman, parente della madre. Con lui i primi anni ebbe una vita tranquilla, agiata e borghese. Nel 1880, con la nascita del loro terzo bimbo affetto da gravi disabilità, i rapporti tra i coniugi cominciarono a deteriorarsi sempre più e infine, i due non ressero al colpo della morte di Emily, la loro primogenita perita tragicamente di meningite. Sia Annie che il marito cominciarono a bere sempre più e questo li portò alla separazione nel 1884. Sembrerebbe che al tempo, il figlio più piccolo fosse in un istituto e che l’altra figlia, Annie Georgina, si fosse unita ad un gruppo di circensi. Pare che Annie Chapman avesse partorito in tutto otto figli, ma molti di loro non sopravvissero, perché lei beveva troppo, sia quando era incinta, che durante l’allattamento, senza purtroppo conoscerne assolutamente le conseguenze.

Annie dopo la morte di Emily e prima della separazione, era veramente disperata. In preda alla dipendenza da alcool, venne mandata in un sanatorio per disintossicarsi. Dopo un anno, dichiarata guarita, la donna tornò a casa dove ad attenderla c’era il marito, che però non si era curato e non aveva smesso di bere. Una mattina nel salutarla, le diede un bacio a fior di labbra. Quel bacio che sapeva di alcool, bastò ad Annie per riassaporare il profumo della sua passata dipendenza e per cadere di nuovo in tentazione.  Il marito che in realtà la amava veramente, venne obbligato dal suo padrone (all’epoca si chiamava così) a separarsi da quella donna alcolizzata se non voleva perdere il lavoro. E così Annie si ritrovò improvvisamente sola. Inizialmente visse con un sussidio del marito e nel 1886 andò a vivere a Whitechapel con un fabbricante di setacci. Ma la relazione tra i due non andava affatto bene, perché lei spendeva tutto in alcool, non riusciva proprio a staccarsi dalla bottiglia. Quando il suo concubino la lasciò, forse anche in virtù del fatto che la donna non riceveva più denaro essendo nel frattempo morto l’ex coniuge, ad Annie ormai malata di tubercolosi, non rimase che la strada, dove faceva piccoli lavoretti di uncinetto e vendita di fiori. Non fece la prostituta, ma questo è il bollino che purtroppo le diedero i giornali dell’epoca. La sera in cui di li a poco avrebbe trovato la morte, non aveva un posto dove dormire. Provò a chiedere aiuto ma le fu negato. Si rifugiò in un vicolo di Whitechapel, dove di li a poco l’avrebbe sorpresa nel sonno Jack lo Squaratatore. Chiuse gli occhi. Quando alle 5:50 trovarono il suo corpo, ai suoi piedi furono rinvenute delle monete ed una lettera.

Poco più in là giaceva un grembiule di cuoio. A causa di questo rinvenimento, fu accusato del delitto John Pizer, un artigiano ebreo che lavorava il cuoio e che venne scagionato quando si scoprì che il grembiule era stato steso ad asciugare da uno degli inquilini delle case circostanti. Annie Chapman venne seppellita venerdì 14 settembre 1888, con una cerimonia strettamente privata. Oggi la sua tomba, che non esiste più, è ricordata da una targa.

Il 25 settembre la Central News Agency di Londra ricevette la delirante “Lettera al direttore” firmata “Jack Lo Squartatore“.

Lettera di Jack lo Squartatore

Lettera di Jack. Crediti foto: screenshot da video YouTube

25 Set. 1888.
Caro Direttore,
continuo a sentir dire che la polizia mi ha catturato ma non mi fermeranno proprio ancora. Ho riso assai quando si mostrano così abili e dicono di essere sulla pista giusta. Quella barzelletta sul Grembiule di Cuoio mi ha veramente divertito. Mi sono fissato con le puttane e non smetterò di squartarle finché non sarò preso. L’ultima volta è stato proprio un magnifico lavoro. Non ho dato alla signora il tempo di strillare. Come possono prendermi ora. Amo il mio lavoro e voglio ricominciare di nuovo. Presto sentirete ancora parlare di me e dei miei divertenti giochetti. Ho conservato un po’ della genuina sostanza rossa in una bottiglia di birra dall’ultimo lavoro per scriverci ma è diventata dura come colla e non posso usarla. L’inchiostro rosso va bene lo stesso spero ah. ah. Il prossimo lavoro che faccio strapperò le orecchie della signora e le manderò ai poliziotti giusto per scherzo, non è vero. Tenete questa lettera per voi finché non avrò fatto un altro po’ di lavoro, poi fatela uscire. Il mio coltello è così bello e affilato che mi viene voglia di rimettermi al lavoro subito se ne ho la possibilità. Buona fortuna.
Sinceramente vostro
Jack lo Squartatore
Non mi dispiace darmi un nome d’arte
PS Non sono stato abbastanza bravo da spedire questa prima di sporcarmi tutte le mani di inchiostro rosso maledizione Ancora senza fortuna. Adesso dicono che sono un dottore. ah ah.“.

Elizabeth Stride (terza vittima)

Elisabeth. Crediti foto screenshot da video YouTube

Di origine svedese, Elizabeth Stride (da nubile Gustafsdotter) nacque in Svezia il 27 novembre 1843. Figlia di un contadino benestante, iniziò molto presto a darsi da fare nella fattoria di famiglia. A 17 anni, come da usanza, venne mandata a servizio da una famiglia come domestica, per imparare i lavori domestici e prepararsi ad un eventuale matrimonio. Sembrava tutto perfetto, ma poco dopo, la giovane venne licenziata in tronco e fu costretta ad andare a vivere da sola. All’epoca, le ragazze madri, le mantenute, quelle che uscivano la sera e quelle che vivevano da sole, venivano inserite in uno dei due libri neri della polizia, chiamati ‘Le prostitute‘ e ‘Le sospette prostitute‘. Lei finì nelle sospettate. Ma perché Elisabeth fu licenziata? Probabilmente molestata dal padrone o da un uomo della casa, Elisabeth rimase incinta. Una volta finita nel registro delle sospettate, due volte a settimana doveva presentarsi al controllo delle parti intime, non poteva uscire dopo le undici di sera e non poteva affacciarsi alla finestra a salutare i passanti. Durante uno di questi controlli, le venne riscontrata la sifilide. Venne sottoposta a terapia e al settimo mese di gravidanza, il 21 aprile 1865, la donna diede alla luce una bambina nata morta.

Dopo questo episodio, la donna venne abbandonata in strada ad un atroce destino. E fu così che dal giorno alla notte, Elisabeth divenne una prostituta. Per quell’epoca, la donna che aveva avuto un figlio da un uomo sposato (l’ex padrone), non era più degna di nessun lavoro e così finì a fare proprio il lavoro di cui la polizia l’aveva sempre ingiustamente accusata. Sola, disperata e malata di sifilide, Elisabeth  attaccò quella pericolosissima malattia venerea a molti dei suoi clienti. Venne ricoverata di nuovo e poi rilasciata ritenuta guarita, ma la malattia la accompagnò in maniera latente per tutta la sua vita, per poi ripresentarsi alla fine, nello stadio terminale. Prima di allora però, una coppia benestante decise di adottare la giovane per salvarla dalla strada. Presto però la coppia si rese conto che in quel luogo ormai la ragazza si era ‘bruciata’. Dopo aver fatto cancellare il suo nome dal libro delle prostitute, decisero allora di mandarla a Londra a lavorare presso una famiglia.

Elisabeth dai 22 ai 25 anni lavorò presso questa famiglia, finché conobbe un carpentiere, Jhon Thomas Stride, che sposò e di cui le rimase il cognome per sempre, sino al giorno della sua morte. I due dopo essersi sposati, decisero di aprire un caffè. I coniugi erano affiatati e innamorati ed Elisabeth era finalmente felice. La donna non confessò mai al marito di avere la sifilide, ma fortunatamente non gliela attaccò mai. Con il tempo e le mode che cambiavano, il caffè iniziò ad avere dei problemi e a formare dei debiti. Il ‘padre padrone’ di Jhon, alla sua morte lasciò tutto ai suoi fratelli e nulla a lui, che sperava di saldare i debiti proprio con quell’eredità. La coppia piena di debiti e col problema di alcolismo di Elisabeth, entrò in una crisi profonda. Lei, che beveva per disperazione già dai tempi della ‘strada’, lasciò il marito e piuttosto di finire in una terribile workhouse, preferì tornare la da’ dove era venuta, la strada. Lei e Jhon si riappacificarono e lasciarono diverse volte, sino al 1881, momento finale per la coppia.

Elisabeth si trasferì in un pensionato nel quartiere di Whitechapel, ed iniziò a lavorare come domestica a ore per una miseria. La donna provò a sopravvivere senza prostituirsi, finché incontrò la sarta Mary, una donna ipovedente, che scambiandola per la sorella, la accolse in casa sua. Elisabeth approfittò di questa situazione e per un certo periodo visse dignitosamente sulle spalle di Mary, ma quando nel 1884 seppe che suo marito era morto di tubercolosi, si buttò ancor più nell’alcool e diventò una bevitrice molesta e più volte fu arrestata per questo. Nelle sue farneticazioni, raccontava che il marito e i suoi nove figli, erano morti nel naufragio di una nave sul Tamigi. In verità, Elisabeth non ebbe figli (se non la bimba nata morta) in quanto con la sifilide, non poteva avere figli. Ma non era solo l’alcool a ridurla così, era appunto anche la malattia, che ormai allo stadio terminale le aveva intaccato anche il cervello.

Negli ultimi due anni della sua vita si accompagnò con un operaio che viveva nel quartiere, ma il rapporto era molto violento. La donna venne arrestata svariate volte per ubriachezza molesta, ma poi rilasciata quasi subito per le sue precarie condizioni di salute. All’una di notte del 30 settembre 1888, il suo corpo fu trovato in un cortile. Era stata uccisa pochi istanti prima. Aveva una rosa nel corpetto e delle pastiglie per l’alito, segno che quella sera, doveva incontrarsi con qualcuno.

Fu un impiegato della chiesa svedese ad accompagnarla nel suo viaggio finale, nessun altro si presentò per l’ultimo saluto e la sua famiglia d’origine non seppe mai nulla di che fine avesse fatto Elisabeth, perché nessuno si prese mai la briga di scoprire chi fossero e dove vivessero i suoi familiari. Venne seppellita direttamente sotto terra senza bara e li, a pregare per lei in lingua svedese, c’era solo quell’uomo compassionevole della chiesa in cui lei a volte si era rifugiata alla ricerca di aiuto.

Elizabeth non subì le orribili mutilazioni inflitte alle due vittime precedenti, probabilmente perché l’assassino fu interrotto prima di riuscire a compierle. Quella notte infatti, Jack insoddisfatto ne cercò e uccise anche un’altra, sulla quale infierì con estrema ferocia.

Catherine Eddowes (stessa notte, quarta vittima)

Catherine. Crediti foto: screenshot da video YouTube

La stessa notte in cui fu uccisa Elizabeth Stride, un poliziotto trovò Catherine Eddowes per strada, completamente ubriaca e svenuta. Fu portata alla stazione di polizia, e poi rilasciata intorno all’una di notte; un testimone disse di averla vista parlare con un uomo intorno all’1.30. Ma veniamo per gradi e vediamo come anche la vita di Catherine fu una vita dura e segnata dalle asprezze di quel tempo.

Nata il 14 aprile 1842, figlia di uno stagnino (artigiano che forgiava lanterne, bollitori, barattoli, etc…) faceva parte di un nutrito gruppo familiare, padre, madre e 10 figli, da sostenere con un unico stipendio. Nonostante ciò, Kate ricevette una buona istruzione in una scuola dove insegnavano anche a cucire e a 14 anni gli alunni venivano introdotti nel mondo del lavoro. Ma per Kate non fu così, difatti, allo scadere del suo 14esimo compleanno, suo padre perse il lavoro e sua madre si ammalò di consunzione (stato patologico caratterizzato da importante perdita di peso peso, trofismo e decadimento delle funzioni fondamentali) e morì a 42 anni.

Due anni dopo morì anche il padre di Kate e le due sorelle più grandi provarono a prendersi cura dei restanti 8 fratellini, ma dovettero ben presto affidarne 4 ad una delle tante terribili workhouse, dove entrarono come orfani e di loro non si seppe più nulla. Kate invece, venne affidata a dei parenti che si trovavano a Wolverhampton e così a soli 15 anni, prese un treno ed iniziò il duro lavoro della sfregatrice. Inoltre, a casa dei parenti dove era ospite, doveva fare i lavori domestici ed occuparsi dei cuginetti. Kate esausta, si attaccò per disperazione alla bottiglia. Come si potrà notare, l’alcool è la dipendenza che ha distrutto la difficile vita di tutte le povere vittime della nostra storia, ma c’è da tener presente che nell’epoca Vittoriana, l’alcolismo era diffusissimo soprattutto fra i più poveri, anche se l’alcool non mancava mai nemmeno sulle tavole dei ricchi e non essendoci una vera regolamentazione sulla produzione di liquori, anche nelle cantine più luride si potevano distillare spiriti. L’alcool rovinò Kate al tal punto che nel 1861, fu scoperta mentre rubava sul luogo di lavoro e venne licenziata in tronco. La famiglia che la ospitava non la vedeva più di buon occhio dopo questo furto e così lei, a soli 19 anni, fece fagotto e se ne andò a Birmingham.

Catherine non si sposò mai, ma si unì, a 21 anni, con Thomas Conway, un ex soldato con una pensione, che faceva il menestrello. Con lui visse per vent’anni, e da lui ebbe tre figli. Kate iniziò ad esibirsi con lui come artista di strada e una volta le capitò di esibirsi accanto a lui a Londra, davanti ad un patibolo, dove il condannato era un suo lontano parente. Quel giorno guadagnarono molto e allora decisero di cavalcare l’onda rimanendo a vivere a Londra e li, rivide le sue sorelle. Ma non fu un bell’incontro, in quanto le sorelle inorridirono alla vista di quella donna ribelle con un tatuaggio sul braccio (cosa più unica che rara per una donna di allora) che si guadagnava da vivere facendo l’artista di strada. Ma kate e Thomas proseguirono nella loro vita e col loro lavoro da vagabondi che in fondo li univa e li rendeva anche felici, seppur nelle difficoltà. Tutto procedette, sino a che un giorno, la loro figlia più piccola, morì di inedia mentre era attaccata al seno della mamma. Fu un vero trauma per la coppia. Tom partì per cercare un lavoro che li potesse sostenere di più e la donna rimase da sola con i restanti due bambini e con la bottiglia e questo fu deleterio per lei. L’alcool fece sprofondare negli abissi più neri lei, ma anche il loro rapporto e quando Tom tornava e la trovava ubriaca, innervosito e stanco della situazione, la riempiva di botte. Era la fine, i due si separarono e Kate decise di rifugiarsi nei bassi fondi di Whitechapel e poco dopo trovò un nuovo compagno, Jhon Kelly, con cui rimase fino alla morte. I due erano senzatetto e quando avevano due soldi, si rivolgevano ad un fetido pensionato per passare la notte. La donna proseguì a fare l’artista di strada, perché per lei ormai, era diventato uno stile di vita. Sua figlia Annie un giorno le chiese aiuto per partorire e lei le chiese in cambio del denaro che sperperò in alcool e questa fu la fine del loro rapporto. Il pomeriggio del 29 settembre 1888, Kate si allontanò dal marito per andare in cerca di denaro. Alle 20.30 di sera la donna era completamente sbronza appoggiata ad un muro e venne arrestata per ubriachezza molesta, ma venne rilasciata all’una di notte e quella fu la sua rovina. Kate cercò Jhon nell’ultimo luogo dove si erano lasciati e chiese notizie di lui ai passanti. Non lo trovò e dunque si rannicchiò a terra per passare la notte. Il mattino seguente una bambina corse a bussare alla porta di Eliza, la sorella di Kate, con un messaggio da parte della polizia: “Tua sorella è morta, vieni ad identificare la salma“.

Cinquecento anime nere dei bassifondi affollarono il cimitero nel giorno della sua sepoltura, stretti intorno alla famiglia di Catherine Eddowes. Jack aveva fatto un terribile lavoro su di lei, il medico che eseguì l’autopsia, si disse certo che si trattasse di qualcuno che doveva avere qualche conoscenza di anatomia. Dopo un paio di settimane dalla morte di Catherine, il capo di un gruppo di sorveglianza ricevette la letteradall’inferno”, scritta da un uomo che si firmava con il nome a lui attribuito dalla stampa, Jack lo Squartatore (non la pubblichiamo per scelta, poiché troppo cruenta, ma chi volesse leggerla può trovarla qui).

Mary Jane Kelly (quinta ed ultima vittima)

Mary Jane. Screenshot da video YouTube

L’irlandese Mary Jane Kelly nacque nel 1863 circa e fu la più giovane vittima di Jack lo Squartatore, difatti aveva solo 25 anni quando fu barbaramente uccisa. Un alone di mistero si avvolge attorno alla vita di questa donna, anche se il fatto che fosse istruita, pulita e che eccellesse nelle belle arti, ci fa intendere che provenisse da una buona famiglia. Di certo si sa solo che era una prostituta. Ebbene si, lei si, era una prostituta, ma non una qualsiasi, lei era molto bella, longilinea, aggraziata, dai capelli rossi e gli occhi azzurri e questo le permise di essere una prostituta ‘d’alto bordo‘, come si suol dire e questo la rendeva molto più fortunata delle sue ‘colleghe di strada’.

Si spostò da sola dall’Irlanda all’Inghilterra, precisamente nel West End, una vasta area situata nell’estremità occidentale di Londra e da un diario della donna, si apprende che qui frequentò una cugina molto poco raccomandabile,  Nel 1883 passò nove mesi in ospedale e questo fa pensare che in quel momento forse la donna ebbe un figlio. Più che un ospedale, si ha il forte sospetto che fosse un manicomio od un riformatorio per donne non sposate che rimanevano incinta. In quell’epoca infatti, quello era il posto riservato a loro. Uscita da li, finì presto nel giro di una maitresse molto famosa all’epoca nel West End, denominata ‘la francese‘. La donna reggeva una ‘casa di tolleranza’ di ‘alto bordo’.

Diversamente dalle loro sfortunate colleghe che lavoravano per strada, le prostitute ‘d’alto bordo’ ricevevano denaro e regali importanti e fu così che Mary Jane riuscì a soli 20 anni ad accantonare un tesoretto, composto da denaro e oggetti preziosi. Un giorno però, venne truffata e le fu sottratto tutto il suo avere da un uomo che la portò in viaggio a Parigi. Dopo essere finita nel mercato delle schiave a Parigi, la donna riuscì a tornare miracolosamente a Londra, non si sa come, nel giro di due settimane. Ma il suo livello fu costretto ad abbassarsi drasticamente e ben presto finì a lavorare nelle strade di Whitechapel. Quando riusciva, pagava un affittacamere e anche lei come le sfortunate donne che la precedono in questa terribile storia, finì per attaccarsi alla bottiglia per reggere i duri colpi di una vita fatta di miseria. Ben presto si trasformò in ciò che era molto distante dalla sua indole aggraziata, divenne infatti una donna litigiosa e molesta e questo le creò diversi problemi, difatti venne cacciata costantemente da tutti i luoghi che frequentava.

Stanca di quella vita, ormai allo stremo delle sue forze, conobbe un fattorino, un 29enne di nome Joseph Barnett ed iniziò con lui una relazione. Quell’uomo era veramente innamorato di Mary Jane, ma anche lui purtroppo, era incline all’alcool. Nella stanza di 3 metri per 3 dove vivevano, la donna dava asilo e conforto alle sue ex colleghe di strada, nella speranza di toglierle dal pericolo di Jack lo Squartatore, che ormai era diventato una minaccia per tutte loro. Joseph stanco di questa situazione e di queste continue frequentazioni della sua compagna, se ne andò di casa per poi tornare dopo qualche giorno. Rimase però soltanto un’ora con Mary Jane, per poi andarsene di nuovo e pentirsene per sempre perché quella notte, Mary Jane incontrò la morte proprio li, nella stanza dove vivevano e dove lui era stato proprio poche ore prima. Era la notte del 9 novembre 1888 e Jack lo Squartatore compì il suo ultimo efferato delitto, sicuramente il più sadico e macabro che aveva mai compiuto, complice forse proprio il fatto che questa volta non era per strada con la paura di essere scoperto ed aveva tutto il tempo per compiere con cura il suo scempio.

La stanza di Mary Jane. Crediti foto: screenshot da video YouTube

Il mattino dopo, un incaricato del padrone di casa, che doveva riscuotere l’affitto, si ritrovò davanti ad uno spettacolo agghiacciante. Fu proprio Joseph a dover fare il riconoscimento della salma e lo spettacolo gli rimase impresso nella mente per tutta la vita. Il  corteo fu seguito da una folla di sventurate senza tetto che erano molto legate alla donna, e da uomini che si toglievano il cappello mentre la bara con i resti della povera Mary Jane passava mesta per le vie di Whitechapel.

Nell’epoca vittoriana c’era l’usanza delle foto post mortem, si pensi che addirittura la famiglia si faceva fotografare accanto al caro defunto dopo averlo vestito da festa e averlo posizionato in modo e maniera che sembrasse vivo (esisteva anche uno strano cavalletto per tenerlo in piedi). Anche delle protagoniste della nostra storia, in rete potete trovare le foto in seguito al ‘passaggio’ di Jack, ma per rispetto a loro, qui abbiamo preferito ricordarle con l’unica foto scattata in vita. Nemmeno nei particolari delle sevizie ci siamo voluti addentrare, i più curiosi le possono trovare sul web.

In onore e memoria di Mary Ann Nichols, Annie Chapman, Elizabeth Stride, Catherine Eddowes e Mary Jane Kelly, anime bianche perse per le vie nere di una Londra ormai lontana.

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Crediti Foto: screenshot da video YouTube

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