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«Ci salveremo con la forza di un abbraccio» – L’intervista di Luciano Ligabue a Famiglia Cristiana

Luciano Ligabue parla del suo rapporto con la musica, con Dio e dei problemi che stiamo vivendo

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«Ci salveremo con la forza di un abbraccio» - L'intervista di Luciano Ligabue a Famiglia Cristiana
Luciano Ligabue

Luciano Ligabue, l’intervista a Famiglia Cristiana

Luciano Ligabue ha rilasciato una lunga intervista a Famiglia Cristiana nella quale parla del suo rapporto con la musica, con Dio e dei problemi che stiamo vivendo, come società, in questa prima parte del decennio.

Pubblicare un album non è démodé? Oggi la musica è tutta mordi e fuggi.

«Nella musica è cambiato tutto. Il modo di scriverla, di produrla, di farla circolare, di ascoltarla. Escono circa centomila canzoni al giorno. Anch’io, da ascoltatore, sono disorientato davanti alle piattaforme. Non è cambiato, però, il mio bisogno di fare musica in un certo modo. Un album è un percorso, come scrivere un libro. Solo così riesco a dire qualcosa che non riesco a tenere per me in un certo periodo della vita»

Adesso cosa c’è da dire?

«Fatico ad accettare il momento che stiamo vivendo. Di inizi di decenni ne ho visti sei, ho una certa esperienza. Nessuno infame e orribile come questo. Non c’è tregua. La pandemia, la guerra in Ucraina, le catastrofi sempre più frequenti innescate dai cambiamenti climatici, l’estate terribile della cronaca con l’aumento dei femminicidi. Sento molti psicologi che hanno in cura i ragazzi della Generazione Z che mi dicono che molti di loro non riescono più a immaginare un futuro. Pazzesco»

Come se ne esce? 

«Non ho le leve politiche per cambiare tutto questo»

Hai le canzoni però.

«Sono il mio modo di dire che non mi rassegno, che all’isolamento bisogna rispondere abbracciando l’altro, anche se è faticoso. Che si può stare insieme, nonostante le differenze. Ho sempre avuto questo bisogno di appartenenza che ora mi sembra più urgente»

«Chissà se Dio si sente solo, se gli bastiamo, se gli manchiamo», si chiede in un brano significativo dell’album. (Dedicato a noi, ndr) 

«È una domanda che rilancio a chi, come me, ha voglia di farsela. Se Dio è nei cieli e ci sta guardando sarà atterrito dallo spettacolo non troppo edificante che stiamo offrendo. Se si sente solo è perché lo stiamo abbandonando»

In una vecchia canzone diceva che un giorno avrebbe risolto il dubbio circa l’esistenza o meno di Dio. Lo ha sciolto?

«Sono stato praticante, ora non più. Ma non per questo ho smesso di essere cattolico. H0 sempre avuto un forte bisogno spirituale. In Hai un momento, Dio?, che poteva apparire ironica o stravagante, volevo umanizzare Dio, mettermi in dialogo con Lui, immaginarlo addirittura a bere qualcosa insieme in un bar»

Che infanzia è stata la sua?

«Bellissima, con due genitori splendidi anche se con un inizio un po’ travagliato. Durante il parto, il cordone ombelicale mi si era attorcigliato attorno alla fronte e m’impediva di uscire. A un anno e mezzo ho rischiato grosso per una peritonite e mi sono salvato grazie a un medico che aveva capito tutto vedendomi in farmacia con mia madre. A cinque anni, dopo un intervento alle tonsille, stavo per morire soffocato da un’emorragia»

Perché a un certo punto della carriera voleva smettere?

«Era alla fine del 1999. Ero reduce da una serie di successi. Non riuscivo a gestire la pressione. Forse era anche una mia paranoia. In un primo momento ho pensato di mollare. Poi mi sono chiesto se ero disposto a rinunciare tutto, soprattutto ai concerti. La risposta era no, e sono andato avanti».

 

 

Crediti foto Ligabue.com

 

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