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SPAZIO MENTE. L’Omofobia. Quando il pregiudizio condiziona l’agire umano

È importante riflettere che omofobi non si nasce, ma lo si diventa a causa del contesto sociale e familiare in cui si vive

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Giornata internazionale contro omofobia, transfobia e bifobia
Un amore gay immortalato in uno scatto Shutterstock

Quando il pregiudizio condiziona l’agire umano

Nella nostra società ancora troppo frequentemente siamo testimoni di episodi di aggressione fisica e verbale nei confronti di coloro che manifestano un orientamento sessuale verso lo stesso sesso. In tali spiacevoli circostanze, i soggetti coinvolti sono vittime di insulti, offese e talvolta anche di percosse.

Il fenomeno descritto è noto come omofobia, ovvero paura irrazionale e scarsa tolleranza, da parte della fascia di popolazione eterosessuale, verso quella degli omosessuali. Il termine “omofobia”, che deriva dalla lingua greca, è composto dal prefisso “omo”, che in questo contesto perde il significato originario di “stesso” per trasformarsi nell’abbreviazione di “omosessuale”, e dal suffisso “fobia” che è sinonimo di paura.

È importante riflettere che omofobi non si nasce, ma lo si diventa a causa del contesto sociale e familiare in cui si vive. La rete in cui siamo immersi, infatti, invia, in modo più o meno consapevole, valori e messaggi che finiscono per essere riconosciuti ed accettati come validi. Secondo questa posizione l’omosessualità rappresenterebbe qualcosa di sbagliato, illegittimo che non dovrebbe essere condiviso con gli altri.

Il 17 maggio, in occasione della Giornata Internazionale contro l’omofobia, la transfobia e la bifobia, è emerso che, anche se l’omosessualità da anni non è più considerata un disturbo, “le persone Lgbt in Italia sono ancora esposte ad una condizione di vulnerabilità”. I dati relativi alle violenze e agli abusi sono in aumento: 165 le vittime di episodi di discriminazione nell’ultimo anno. Un’indagine di Istat e Unar rivela anche che il 41,4% di omosessuali e bisessuali si sentono discriminati sul lavoro. L’attuale situazione ci obbliga ad una profonda riflessione sul grado di tolleranza e di apertura mentale del nostro Paese rispetto ad altri Stati dell’Unione Europea che hanno riconosciuto come reato l’omofobia. Inoltre, occorre sottolineare che numerosi atti di bullismo omofobico e transfobico si sono verificati anche nelle scuole, dove docenti, presidi e genitori hanno dovuto affrontare delicate tematiche e dinamiche manifestatesi tra gli studenti.

In Italia, il termine “omofobia” è stato utilizzato per la prima volta nell’ottobre del 1979 in un articolo giornalistico che riportava la notizia di una “marcia gay” organizzata a Washington per protestare contro il fenomeno dell’“omofobia” negli Stati Uniti.  Solo negli anni 1985-1986 le manifestazioni di intolleranza diventano una questione pubblica che parte dalla riflessione scaturita su notizie, episodi e querelle che avvengono all’estero. I giornali italiani, infatti, riprendono il dibattito sull’AIDS che nasce negli Stati Uniti e che viene ritenuto responsabile di una nuova ondata di atteggiamenti omofobi.

Solo a partire dagli anni 2000, in Italia, si verifica una trasformazione a livello qualitativo e quantitativo dell’uso del termine “omofobia” nel dibattito pubblico. Si assiste progressivamente alla sua acquisizione e diffusione sempre più massiccia nel discorso giornalistico che si accompagna al suo ingresso nel linguaggio della vita politica nazionale. Ovviamente, l’inclusione del termine nel gergo giornalistico italiano garantisce al fenomeno una maggiore centralità e visibilità, che viene ripresa e portata avanti dall’attivismo dei movimenti Lgbt.

Nonostante l’impegno manifestato da tali associazioni che puntano al cambiamento della condizione sociale, umana, politica e alla difesa dei diritti delle persone omosessuali, bisessuali e transessuali, ancora oggi, purtroppo, siamo costretti ad assistere ad atti vili di soprusi psicologici, verbali e non di rado anche fisici nei confronti di chi manifesta uno specifico orientamento sessuale.

Tale condizione dovrebbe indurci ad una presa di coscienza della necessità di promuovere la cultura del rispetto delle differenze e dell’inclusione sociale al fine di eliminare le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale che ledono la dignità della persona e il principio di uguaglianza sociale.

Alessandra Bisanti, Psicologa, Psicoterapeuta cognitivo-comportamentale

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Crediti Foto: SHUTTERSTOCK