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Gli Who tornano con un album d’inediti e dimostrano come fare ancora rock

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Sarebbe facile punzecchiare gli Who, riprendendo il loro leggendario verso “spero di morire prima di diventare vecchio” (in “My generation”, anno 1965) e constatare che, superati i 70 anni, la metà della band ancora si ostina a pubblicare un nuovo album.

Ma alla fine del 2019 gli Who – cioè Pete Townshend e Roger Daltrey – tornano in grande stile a 13 anni dall’ultimo lavoro in studio, con il quasi eponimo WHO (maiuscolo volontario).

Dopo anni di silenzi, quasi interrotti da Truancy, best of di Townshend, e concerti celebrativi dei grandi classici, il duo torna a registrare e cantare pezzi inediti, scritti ovviamente da Townshend (con l’aiuto del fratello Simon) e cantati da un Daltrey in grande spolvero.

Perché una cosa va detta: i nostri sono ancora in forma. Nonostante l’età e gli acciacchi, tra cui la quasi sordità di Townshend, WHO è una bella cavalcata che dimostra la metà degli anni dei suoi interpreti.

Certo, se siete del partito “gli Who esistono solo con Moon alla batteria e Entwistle al basso”, non credo potrete tollerare lo splendido lavoro di Zak Starkey (figlio di Ringo Starr) alle pelli né di Pino Palladino al basso, tra i migliori strumentisti al mondo. E allo stesso modo, se sognate ancora un Townshend capace di spaccare la chitarra sul palco e dimenarsi, o di un Daltrey urlare fino a farsi esplodere le corde vocali, forse WHO non è l’album giusto.

WHO è un disco perfettamente conscio di sé: niente opere rock stavolta, nessun fil rouge comune ai brani, ma neanche nessun citazionismo sterile e stantio.

Rimane sicuramente la “formula”, ancora forte ed efficace: “All this music must fade”, che apre l’album, ci riporta indietro a miniclassici come “Slip kid” o “New song”, con il suo riff d’accordi trademark della band e il cinismo di Townshend, perfettamente consapevole dell’inutilità della musica di oggi e delle accuse di plagio che ogni tanto emergono nello showbiz.

Ma c’è molta musica dentro l’album. C’è il remake di “Guantanamo”, ora chiamata “Ball and chain”, vecchio brano di Townshend dall’incedere blues che però evita lo standard senz’anima, così come “I don’t wanna get wise” che si eleva a piccolo inno dell’album. Ci sono momenti di grande scrittura in “Hero ground zero”, con il suo incedere orchestrale di archi e il testo che si collega all’ultima opera letteraria di Townshend, “The age of anxiety”, così come momenti intensi e lirici, che ovviamente Pete tiene per sé cantando da solo, in “I’ll be back”, struggente riflessione sul tempo che sta finendo e la speranza di una nuova vita dopo la morte.

Ecco, quello che va premiato è il coraggio di non essere inutilmente nostalgici. C’è la riflessione sulla propria vita e sul tempo che è andato (nella già citata “I’ll be back”) ma anche la voglia di raccontare il presente, che sia fatto di sana voglia di “spaccare” (come in “Rockin’ in rage”, il brano più rock – non a caso – del pacchetto) e di denunciare i mali di oggi come in “Detour”, con la lucida consapevolezza di essere ormai uomini anziani che guardano il mondo dal sedile posteriore.

Due episodi sembrano poi meritare attenzione: il primo è “Break the news”, unico vero momento in cui gli Who non sembrano gli Who e con buona ragione, dato che il brano è frutto intero di Simon Townshend, e “She rocked my world”, virante verso le oblique sonorità latine e spagnole, e ultimo saluto con tocco di cappello alla discografia degli Who, a meno di sorprendenti rivoluzioni.

WHO è un album bello, tutto sommato. Non è velleitario e non vuole porsi sullo stesso piano dei grandi classici della band, e in questa ammissione di sincerità vince e convince. È stato definito “il miglior album dai tempi di Quadrophenia”, e anche questo sarebbe fuorviante (anche perché Quadrophenia è irraggiungibile da chiunque ormai): molto più vicino al modo di suonare e di scrivere della seconda metà degli anni ’70, WHO sembra concettualmente legato ad album come “The Who by numbers” e “Who are you”, e seppure mancante di un grande inno, ci dimostra come il talento per la melodia e la voglia di dimostrare ancora di saperci fare di Townshend sono rimasti inalterati. Un bellissimo regalo per tutti i fan e non solo.

VOTO: 7/10

AGGETTIVO: GIUSTO

TRACKLIST:

  1. All This Music Must Fade
  2. Ball and Chain
  3. I Don’t Wanna Get Wise
  4. Detour
  5. Beads on One String (Pete Townshend, Josh Hunsacker)
  6. Hero Ground Zero
  7. Street Song
  8. I’ll Be Back
  9. Break the News (Simon Townshend)
  10. Rockin’ in Rage
  11. She Rocked My World

ALBUM: WHO

ARTISTA: THE WHO

ANNO: 2019

ETICHETTA: POLYDOR RECORDS

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