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Cinema

The Old Oak – Recensione

L’ultimo film di Ken Loach, The Old Oak, critica il razzismo della periferia inglese attraverso il racconto di una profonda amicizia

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The Old Oak Film
Crediti immagine: Film The Old Oak

“Quando mangi insieme, resti insieme.”

Un pub, una cittadina, due comunità. The Old Oak racconta una storia di amicizia, di uguaglianza nelle differenze. In un contesto in cui il razzismo domina e pervade strade, abitazioni e generazioni. Il nuovo (e probabilmente ultimo) film di Ken Loach riflette e commuove, rispecchiando con estremo realismo un problema sociale tristemente attuale. Sceneggiato da Paul Laverty e ambientato nel Regno Unito, è stato presentato in anteprima il 26 maggio 2023 in concorso al 76º Festival di Cannes. Lo svolgimento delle riprese si è svolto in vari villaggi della Contea di Durham, mentre come location per il locale è stato utilizzato un pub in disuso a Murton. Attualmente è disponibile nelle sale italiane dallo scorso 16 novembre. Gli attori protagonisti della pellicola sono Ebla Mari e Dave Turner.

The Old Oak – Trama

The Old Oak, è il nome di un pub di una piccolo paese del Regno Unito, situato nella contea di Durham, ex cittadina mineraria. Con l’insegna in decadenza, è ormai l’unico luogo di aggregazione della popolazione. Gli abitanti sono costretti a sopravvivere in questo luogo ormai desolato oppure ad andarsene verso le grandi città. TJ Ballantyne, interpretato da Dave Turner, è il proprietario del locale. Un uomo disilluso e visibilmente stanco del suo lavoro, che procede a stento, e della sua vita, in quanto ha visto nel tempo perdere tutti i suoi legami affettivi. La situazione del piccolo villaggio, già particolarmente tesa, precipita quando vi si trasferiscono alcuni rifugiati siriani. Gli abitanti contestano in maniera accesa il loro arrivo sin dai primi contatti. In seguito ad uno di questi, un uomo distrugge la macchina fotografica della giovane siriana Yara (interpretata da Ebla Mari). La ragazza deciderà così di cercare di rintracciare il responsabile del danno, il quale però non la ripagherà. Troverà quindi l’aiuto di TJ, con cui nascerà una improbabile ed intensa amicizia.

Recensione (senza spoiler)

Sin dalle prime immagini, il film trasporta lo spettatore in una comunità estremamente realistica. Una periferia spenta, statica, in cui ogni abitante conosce tutto, di tutti. I limiti e le insicurezze dei cittadini attraversano lo schermo e catapultano lo spettatore in una fotografia della società occidentale attuale, dominata dalla paura del diverso. Spaventati dal progresso, i membri della comunità sembrano dimenticare le lotte comuni di un tempo. In cui ognuno lottava per unirsi, mai per dividersi. Tutti, tranne TJ. Egli infatti è ancora memore delle battaglie per i diritti che la sua famiglia combatté in passato. Lotte che, si rende conto, non essere servite però a nulla. La fotografia di Ken Loach è elemento centrale del film, con piani e contropiani che riportano spesso sia agli eventi del passato che alle zone di guerra. Con uno sguardo a due realtà differenti, il regista analizza la verità attuale della periferia britannica, criticando aspramente il razzismo e l’ignoranza delle comunità mai solidali e che, soprattutto, dimenticano in fretta. In un mare di discorsi qualunquisti, però, il rapporto di amicizia e rispetto reciproci che TJ stringerà con Yara gli dona una speranza, una luce, per combattere spazi e barriere, non solo fisiche e psicologiche ma anche spirituali.

Recensione (con spoiler)

Attraverso una serie di eventi particolarmente significativi e tragici, il film ripercorre l’amicizia tra i due protagonisti con delicatezza e profondità. In un crescendo che non subisce mai colpi di coda, ma è invece costante e graduale. Yara, come la sua famiglia, è costretta a vivere un’altra guerra, dopo esservi sfuggita: quella contro gli stereotipi e il razzismo contro i migranti. Soltanto grazie all’aiuto di TJ, che libererà la sala sul retro del pub, ormai in disuso, per aiutare la comunità e donargli cibo e beni essenziali, la giovane ritroverà la speranza di sentirsi a casa. Allo stesso modo, anche il proprietario del pub, ormai abbattuto dalla solitudine e dalla recente morte della cagnolina Marra, che gli salvò la vita, viene aiutato dalla speranza di un mondo migliore. Grazie anche alla solidarietà e al supporto dell’amica. Nonostante a volte possa apparire eccessivamente didascalico e prolisso, The Old Oak permette di riflettere e manda un messaggio chiaro a ogni spettatore, con l’intenzione di mobilitare chiunque verso un cambiamento. Il finale poi, in cui ogni abitante della cittadina dona il proprio supporto alla famiglia di Yara per la morte del padre, rappresenta la speranza del regista per un futuro migliore. Per ritrovare umanità.

 

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