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Quattro anni di Brexit: dal 23 giugno 2016 ancora niente accordo

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Proprio oggi la Brexit compie 4 anni. Era il 23 giugno 2016 quando il Regno Unito votava se restare o lasciare l’Unione Europea. Probabilmente molti sostenitori della Brexit non immaginavano neanche che quattro anni dopo si sarebbe ancora parlato dell’uscita, di fatto fermi sul ciglio della porta.

Avevamo parlato di Brexit il mese scorso, quando il terzo ciclo di negoziati era terminato senza grandi risultati. Pochi giorni fa un nuovo round di incontri si è concluso, ancora una volta in maniera infruttuosa. Come titola un articolo del giornale britannico The Guardian, “ad oggi la Brexit ha cambiato tutto e niente”.

Gli incontri tra le due task force responsabili di definire l’accordo di uscita finiscono sempre per essere un’occasione per rimarcare buoni propositi e poco altro. L’incontro di lunedì 15 giugno a cui hanno partecipato anche il premier inglese, Boris Johnson e la presidente della Commissione Ue, Ursula Von der Leyen, si è concluso senza sviluppi nella definizione dell’accordo commerciale.

Ufficializzazione della Brexit, 31 gennaio 2020, Londra. Ph. Agnese Stracquadanio

I problemi sono sempre gli stessi: la parità di condizioni di investimento per far sì che nessuno screditi l’altro e la pesca in acque britanniche. C’è poi la questione chiave della cooperazione nel campo della sicurezza e della difesa. Sembrerebbe, infatti, che il Regno Unito si stia progressivamente arroccando su posizioni sempre più distanti dall’Ue anche laddove sembrava esserci una convergenza di opinioni.

Regno Unito e Unione europea la pensano diversamente anche sui tempi utili per arrivare alla definizione dell’accordo. “Entro luglio” secondo Boris Johnson, ma la presidente Von der Leyen lo riporta con i piedi per terra. “Abbiamo superato la metà del tempo che ci siamo dati per i negoziati, ma non siamo affatto a metà del lavoro” queste le sue parole.

Ma il premier britannico è determinato a portare a compimento la Brexit nei tempi previsti nonostante i dati negativi dell’economia dopo la pandemia e il lockdown. Oltre ai Governi di Scozia, Irlanda del Nord e Galles, anche molte imprese avevano avanzato la richiesta di allungare il periodo di transizione al premier Johnson. Solo sette giorni rimangono, infatti, a Londra per richiedere più tempo all’Ue. Ma un’estensione oltre il 31 dicembre 2020 non è tra i progetti del premier britannico che si prepara a stringere accordi commerciali con il Giappone e a rafforzare le relazioni con Australia e Nuova Zelanda.

In compenso, Boris Johnson ha rivisto le sue posizioni sui controlli alle frontiere con l’Ue dal 1° gennaio 2021. Il primo ministro aveva annunciato controlli serrati, ma per aiutare le imprese e l’economia tutta, le merci in arrivo dall’Ue saranno soggette a controlli più soft per almeno sei mesi. Questa misura sarebbe utile a dare un po’ di respiro alle imprese che avrebbero più tempo per adattarsi alla nuova condizione, anche nel caso di un’uscita senza accordo.

In questo modo, i controlli più severi post-Brexit verrebbero introdotti gradualmente tra gennaio e luglio 2021. Dall’altra parte, la Ue ha annunciato che non sarà altrettanto flessibile. I controlli sulle merci britanniche in entrata verso i 27 Paesi-membri saranno più rigidi come previsto, già dal 1° gennaio.

 

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Crediti foto: Agnese Stracquadanio