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Jared Leto sotto accusa
Jared Leto sotto accusa. Il flop di “Tron: Ares” mette in dubbio non solo la carriera di Leto, ma il peso delle star nel successo dei film.
Il flop al bottegghino di “Tron: Ares” è stato un duro colpo per la reputazione di Jared Leto. Attore iconico per la generazione millennial, da sempre considerato una star capace di caricarsi sulle spalle il peso artistico ed economico dei film a cui partecipa, dopo il flop dell’ultimo Tron le sue quotazioni a Hollywood sono in picchiata, e qualcuno si sta chiedendo se non sia l’intero sistema della star ad essere in crisi. Vediamo che succede.
I conti non tornano
Partiamo dai numeri: “Tron: Ares” ha incassato 123 milioni di dollari su un budget di 220 (non calcolando i costi del marketing). Un disastro inaspettato per la Disney, che aveva puntato tutto su Leto per riportare in auge un brand di culto. La fiducia nelle capacità di Leto era tale che non solo gli è stato affidato il ruolo di protagonista, ma anche quello di consulente del film. Le critiche quindi non riguardano solo la prestazione attoriale del divo nato in Louisiana, ma anche la sua capacità di sapere cosa chiede e vuole il suo pubblico di riferimento, cioè i millennials.
Storia di un mattatore
La fiducia della Disney del resto non era infondata. Jared Leto per 15 anni ha avuto ruoli di primo piano nei film più amati dal pubblico nato fra il 1980 e il 1989: basti citare capolavori generazionali come “Fight Club”, “Ragazze interrotte”, “Dallas Buyers Club”. Per non parlare del suo successo con la band 30 Seconds To Mars: album come “30 seconds to mars” e “This is a war” sono stati successi mondiali e album capitali per il genere nu metal. Leto, quindi, dal 1999 (anno di Fight Club) al 2013 (anno di “Dollars Buyers Club”) non ha sbagliato un colpo, per poi alternare blockbuster a film autoriali nel decennio successivo, mantenendo intatta la sua aura di infallibile.
Il divo eremita
A creare l’aura di divo ha pesantemente concorso anche la vita privata dell’attore. Vegano, pro diritti LGBTQI, appassionato di religioni orientali, impegnato nel sociale e molto attento alla sua privacy, Leto si è creato un personaggio molto affascinante anche al di fuori del set, divenendo negli anni uno strano incrocio fra un divo del cinema, una rockstar e un guru generazionale.
Le prime crepe
Non che la sua carriera, specialmente negli ultimi 10 anni, non avesse mostrato qualche crepa. Il Joker da lui interpretato in Suicide Squad aveva convinto poco sia la critica che il pubblico, ma un inciampo in una carriera praticamente perfetta non aveva allarmato nessuno. E’ stato con il flop clamoroso di “Morbius” nel 2022 che qualcuno aveva cominciato a parlare del declino del mattatore, dato che il film diretto da Daniel Espinosa poggiava tutto sulle spalle e le intuizioni di Leto. Il film è stato un disastro: critica e pubblico l’hanno ritenuto pessimo e, per la prima volta nella sua carriera, Leto è stato accusato di offrire una prova attoriale mediocre.
Cosa poteva andare storto?
Il flop di “Tron: Ares” apre però ad una messa in questione più profonda della carriera di Leto, ed in generale del divismo hollywoodiano. Disney aveva puntato tutto sull’attore perché lo riteneva capace, con la sua sola presenza, di assicurarsi per lo meno il pareggio dei costi. Questo significa che il nostro, da solo, doveva garantire per lo meno 250 milioni di incasso, una cifra mostruosa in tempi di crisi come questi. Eppure questo è lo stesso identico ragionamento fatto dalla Marvel de “I fantastici 4” scritturando Pedro Pascal, e dalla Warner Bors quando ha voluto DiCaprio come protagonista per il suo “Una battaglia dopo l’altra”. 3 film completamente diversi, uniti dal fatto di affidarsi ciecamente ai loro protagonisti per sperare di incassare bene al botteghino, per poi scoprire di essere in perdita.
Il divismo non funziona più?
Leto quindi viene preso da una parte della critica cinematografica, dai social e persino dagli investitori degli studios come la dimostrazione che il culto divo non funziona più. Il perché questo sia accaduto è oggetto di dibattito: c’è chi sostiene che i divi abbiano fatto il loro tempo, chi dà la colpa a progetti mediocri che sperano di salvarsi solo con la presenza del grande nome, chi invece preferisce addossare le colpe ad un pubblico in perenne sovrastimolazione che non ha più la voglia e l’attenzione per seguire i propri idoli in ogni loro progetto. Sia come sia su un punto tutti sono d’accordo: puntare sull’attore protagonista dal nome e cachet pesante per trascinare il pubblico al cinema non funziona più e bisogna trovare altre strategie.
E chi pensa agli attori?
In questa discussione i grandi assenti sono proprio coloro che sono sotto i riflettori, ossia gli attori. Preoccupati per l’avanzare dell’AI e della computer grafica che li rende sempre più inutili sul set, frastornati da un sistema in crisi che li eleva a salvatori della patria quando un film incassa bene per poi additarli a peso morto non appena floppano, gli attori si trovano a doversi muovere fra la ricerca della popolarità social e gli spietati numeri del botteghino, due metriche che spesso non collimano. Chiedergli quindi una presa di coscienza sul loro ruolo in tutta questa bagarre significherebbe caricarli di un peso che in questo momento non possono portare, e che probabilmente non è nemmeno loro responsabilità addossarsi.
Il futuro
L’attenzione intorno alle responsabilità di Leto sul flop di “Tron: Ares” probabilmente si spegnerà a breve, lasciando il nostro nell’infelice posizione di rivedere al ribasso i cospicui cachet richiesti fino ad ora. Nell’immediato ad essere più preoccupati della questione sono la Disney e Johnny Depp: il ritorno del brand Pirati dei Caraibi con protagonista Depp a questo punto sembra in bilico, dato che la Disney dopo il disastro con Leto non vuole ripetere il medesimo errore. Ma in generale a cambiare nel prossimo futuro saranno le tecniche con cui le major ci invoglieranno ad andare al cinema: falliti i grandi nomi, bisognerà puntare su altro, anche se non si sa ancora su cosa. Sceneggiature migliori? CGI di migliore qualità? Brand più solidi ed esportabili al di fuori dell’Occidente? Fondersi col mondo dei videogiochi? Sono tutte opzioni sul tavolo, ognuna con dei pro e dei contro evidenti. Qualunque opzione sceglieranno le Major una cosa è sicura: l’era dei divi sta tramontando, ed è un tramonto tremendamente malinconico.
