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Myanmar: veto Cina per condanna Onu. Cittadini iniziano protesta nonviolenta

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Dopo che in Myanmar i militari hanno preso il controllo del paese, incarcerando la premier de facto Aung San Suu Kyie e dichiarando un anno di stato di emergenza, al termine del quale si ripeteranno le elezioni, le potenze occidentale hanno undique rivolto la propria preoccupazione per la situazione birmana, auspicando un ritorno al governo legittimo il prima possibile.

Martedì 2 febbraio anche il Consiglio di sicurezza dell’Onu si è riunito, per discutere la bozza di condanna al golpe militare, chiedendo il rilascio di tutti i prigionieri politici, il rispetto dei diritti umani e la restaurazione della democrazia nel Paese, ma i rappresentanti di Pechino hanno posto il veto. La Cina a sua volta è sotto accusa per il trattamento riservato ai manifestanti di Hong Kong e agli uiguri di Xinjiang, e già da anni difende l’operato del governo birmano e la politica interna sovrana del Paese. Il ministro degli Esteri, tramite il portavoce Wang Wenbin, ha riferito che «In quanto Paese amico del Myanmar, desideriamo che le parti possano risolvere adeguatamente le loro divergenze e sostenere la stabilità politica e sociale».

Resta ignoto il luogo dove Aung San Suu Kyie sia detenuta, ma sembrerebbe sia confinata fino al 15 febbraio nella sua abitazione. Il tribunale infatti ne ha ordinato la detenzione provvisoria dopo che l’ha accusata di aver violato una legge sull’import-export di walkie-talkies, trovati nella sua abitazione di Naypyidaw, reato punibile con 3 anni di carcere. L’ex presidente Win Myint, anch’egli agli arresti, è stato accusato di violazione di leggi contro le catastrofi nucleari, avendo tenuto un comizio in periodo di Covid-19 nonostante le restrizioni.

Intanto però in più di 30 città di tutto il paese il personale medico di almeno 70 ospedali ha dichiarato lo sciopero, in segno di protesta al colpo di stato, e numerosi sono i segni di una nascente resistenza, organizzata dai gruppi giovanili e già chiamata sui social Iron Campaign, dalle proprie case la gente fa risuonare lattine, padelle e pentole in segno di protesta.

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