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Coronavirus, dall’Università di Torino arriva il test per il certificato di immunità

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Test certificato immunità

Centomila sono i casi conclamati di Coronavirus in Italia, ma si stima che siano un milione e mezzo gli immuni chiusi in casa che non sanno di essere immuni o perché in loro la malattia è stata asintomatica, o perché hanno avuto i sintomi ma non hanno avuto la possibilità di fare il tampone. Considerato che un milione e mezzo di abitanti potrebbe rientrare al lavoro ed alle normali attività quotidiane, ora la priorità diventa identificare quelle persone e dare all’economia italiana una prima ripresa.

Si è pensato ad un certificato di immunità a Covid-19 ottenuto grazie a un test del sangue ed è del tutto torinese l’avvio a questa sperimentazione. Una ricerca made in Italy, che parte dal Dipartimento di scienze veterinarie dell’Università di Torino, in collaborazione con l’Istituto zooprofilattico sperimentale della Lombardia ed Emilia Romagna e il Dipartimento di Chimica dell’Università di Torino. Il test è già pronto e si attende la sua validazione, a quel punto partirà una sperimentazione unica a livello regionale per ricevere i sieri dei pazienti. Poi serviranno 7-10 giorni per avere le risposte e dopo di che, le persone risultate immuni, potranno riprendere il lavoro e la loro vita normale, senza rischiare di far ripiombare il Paese in una seconda ondata di casi di Covid-19.

La ricerca è partita un mese fa ed oggi si dimostra più che mai utile anche e soprattutto ai sanitari che potrebbero svolgere il loro lavoro molto più tranquillamente sapendo di aver sviluppato l’immunità. In questo momento di grave crisi economica dovuta all’epidemia in corso, sarebbe utile a tutto il Paese una progressiva ripresa, testata in tutta sicurezza.

Il dottor Sergio Rosati, ordinario di malattie infettive del Dipartimento di scienze veterinarie dell’Università di Torino, in un’intervista ad “Adnkronos Salute”, ha spiegato che “A questo punto occorre sperimentare il test su campioni negativi (usando sieri prelevati nel 2018, quando il virus non esisteva, ndr) e su quelli dei pazienti per valutare il grado di accuratezza. Non si tratta di un test rapido, questi esami hanno infatti dei limiti. Il nostro è un test che può essere eseguito nei laboratori ed è di tipo qualitativo e quantitativo: ci dice se ci sono gli anticorpi protettivi e quanti. Gli Igm sono i primi a comparire e ci dicono che l’infezione è recente: il tampone potrà ancora essere positivo e il paziente infettivo. Quando appaiono gli anticorpi Igg per lo più il virus è sparito e abbiamola guarigione eziologica. La speranza è che le persone sieropositive siano resistenti a successive infezioni con lo stesso virus, almeno per un certo periodo. Un po’ come se queste persone avessero vinto un biglietto della lotteria. Presto avremo i risultati. Ma per la produzione avremo bisogno del supporto dell’Istituto zooprofilattico e della validazione dell’Iss. Avere un test made in Italy garantirebbe una produzione locale, senza dipendenze da produttori stranieri, che potrebbero non assicurare un adeguato flusso di reagenti verso il nostro Paese“.

Le strutture interessate a partecipare alla sperimentazione possono contattare il gruppo di Rosati all’Università di Torino.

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Crediti foto: LaPresse