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Arte

Boxe e Fotografia, l’Arte della concentrazione e della velocità

Fotografia e Pugilato, due mondi affini, -fatti di tentativi, successi, fallimenti-, sul ring, come su pellicola

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La copertina del fotolibro "Arbitri", foto di Daniele Fermani

Con il progetto “Arbitri”: la BOXE è raccontata da un’altra prospettiva.
Fotografia e Pugilato, due mondi affini, -fatti di tentativi, successi, fallimenti-, sul ring, come su pellicola. E, soprattutto, allenamenti estenuanti. Daniele “Duccio” Fermani fotografo reatino classe ‘82, direttore della fotografia ma anche pugile. Dopo la laurea in Cinema al D.A.M.S. di Bologna, nel 2006 si trasferisce a Berlino dove collabora per alcuni anni con Reynold Reynolds, divenendo fortemente coinvolto nella scena videoartistica della capitale tedesca.
Al suo rientro in Italia prosegue la carriera di fotografo e videomaker e dà vita a diversi progetti fotografici, come “Arbitri”, che diventerà un’esposizione site-specific.

 

Daniele, quando inizi ad avvicinarti al mondo della boxe?

Relativamente tardi, a 34 anni, nel settembre del 2016. È l’anno in cui è morta mia madre e sono arrivato ad un livello di stress altissimo, ritrovandomi di fronte ad un bivio: do 80 euro alla “Camera della Rabbia” a Forlì, vado mezz’ora, spacco tutto ma tra due giorni mi ritrovo punto e a capo. Oppure, la seconda opzione era quella di iscriversi al corso di boxe del TPO di Bologna e vedere come sarebbe andata.

Era un ambiente che prima di allora non conoscevi ?

Alle superiori avevo praticato kick boxing, poi però quando da Rieti mi sono trasferito a Bologna, durante gli anni del Dams, preso dalla vita sociale universitaria, ho interrotto.
Un minimo di ambiente degli sport da combattimento lo conoscevo, però provenendo da una piccola realtà provinciale come Rieti, Bologna mi è sembrata proprio un altro mondo.
Da quel settembre 2016 non ho più smesso e sono nate amicizie che durano ancora oggi. A marzo 2017 un’amica poetessa di origini anconetane, Elena Micheletti, mi propose di fare una mostra affiancando le mie foto alle sue poesie: scelsi di esporre delle foto di boxe.
Un giorno invece di allenarmi ho scattato foto ai compagni sul ring mentre facevano sparring. Quelle sono state le prime foto sulla boxe, molto diverse da quelle che scatto ora. Quando però faccio una foto, sia essa digitale che analogica, la tengo, anche se non mi piace, non butto mai niente.

Quando hai iniziato a scattare fotografie ?

A 18 anni, esattamente nel 2000. Quindi anche pensando ad una retrospettiva, sono 23 anni di foto, ed è importante averle tutte per capire il percorso fatto. Tornando al progetto delle prime foto di boxe, qualche mese dopo al Vag di Bologna ci fu una riunione di Boxe Popolare e Thai Boxe Popolare, nove di quegli scatti fecero parte della mostra. La mostra è stata itinerante, ospitata anche fuori Bologna, fino a Terni.

E il nome della mostra ?

Semplice, “Ring”. Nove scatti di gesto atletico, pugilato nudo e crudo,il guantone sulla faccia. In alcuni erano ritratti i pugili abbracciati. A Dicembre 2017 al TPO fu tenuta un’altra riunione di boxe e ne approfittai per fare altri scatti.
All’epoca scattavo ancora con la modalità “a raffica”: dopo quella riunione però mi dissi “basta”, non ce la facevo più a rivedere 240 giga di foto. Da lì in poi lo scatto l’ho deciso io: a parte i vantaggi tecnici, come il fatto che non si scarichi più così velocemente la batteria della macchina fotografica, avendo il controllo di ogni singolo scatto si è molto più concentrati. In uno di quegli scatti ho beccato proprio il momento del gong, l’arbitro che divide le due pugili, una di queste era Cristina Di Massimo, che all’epoca si allenava alla Palestra Popolare Revolution di Roma, di Lorenzo Catalano. Ho catturato proprio il momento in cui lei capisce di aver vinto.
Sul momento non me ne sono accorto, è stato a casa, durante la post produzione. Mi sono chiesto perché quella foto mi piacesse particolarmente: era qualcosa di diverso rispetto a quello che fino a quel momento si era visto fotograficamente sulla boxe. Fino ad allora c’erano i famosissimi plongée (è un tipo di inquadratura in cui i soggetti e gli ambienti in campo vengono catturati dall’alto, con il punto di vista rivolto verso il basso, ndA), oltretutto a colori, o gli scatti di Muhammad Alì in uno dei suoi primissimi incontri, che batte Sonny Liston, steso k.o. (dopo il primo round, per il titolo mondiale dei pesi massimi. La foto venne scattata da Neil Leifer al St. Dominic Arena a Lewiston il 25 maggio 1965, ndA).
Ecco, la foto con la Di Massimo, che considero la “foto zero”, è diventata la foto di copertina, quella che ha dato l’avvio al progetto.

 

Come nasce quindi il progetto “Arbitri”?

È un progetto di ricerca fotografica sul mondo del pugilato italiano, durato cinque anni, dal 2017.  Innanzitutto non volevo scattare le solite foto viste e riviste. Volevo raccontare qualcosa di diverso e mi è venuta l’illuminazione: l’arbitro è sul ring, in un incontro di boxe non ci sono solo due pugili. Così penso alla terza figura, fondamentale, senza la quale non c’è il match, senza l’arbitro il pugilato è una “rissa”. E ovviamente senza i giudici attorno al ring, anche. Da lì, durante le riunioni successive dei ragazzi della mia palestra, ho spostato l’attenzione sugli arbitri. Fino a quando non ho iniziato a raccogliere gli scatti per il fotolibro. Ci è voluto un po’ per capire come impostare la struttura narrativa.
Ho una formazione soprattutto cinematografica, “la storia” è il perno di tutto.
Osservavo a lungo gli arbitri, e nelle riunioni che si tenevano nelle palestre a Bologna, arrivavo molto prima di loro, per dare una mano a organizzare, a montare il ring. Mi guardavo attorno, osservavo. Prima si osserva e poi si scatta.
La prima volta che sono andato negli Stati Uniti infatti ci ho messo dodici giorni prima di scattare una foto. Perché non volevo rischiare di fare foto già viste. Quando poi ho scoperto che qualcuno aveva già scattato una determinata foto, quel qualcuno era Elliott Erwitt: lo specchietto retrovisore della macchina scattato nello stesso modo.

 

Uno “schema narrativo”

DANIELE: Per tornare alla mia “osservazione degli arbitri”, notai che quando arrivano in palestra c’è proprio un “rito” di Preparazione appunto, che dà il nome alla prima parte dello schema narrativo seguito dagli scatti. La seconda parte racconta quello succede sul ring, l’Osservazione: l’arbitro guarda, interviene, e alla fine viene espresso il giudizio. In questa parte ci sono gli scatti propriamente “di pugilato”, di gesto atletico. La terza parte ha il nome di Intervento, si intende appunto quello dell’arbitro, seguita dal Giudizio, che nell’ultimo scatto è volutamente sospeso: ho scelto di chiudere il progetto con una foto che non decretasse nessun vincitore. L’arbitro e i due pugili sono di spalle, mano nella mano, la foto è un pò “chapliniana”. In uno scatto precedente prima l’arbitro raccoglie i cartellini, o l’arbitro che scrive il giudizio sul cartellino, nelle riunioni minori, mentre nei campionati hanno il tastierino per assegnare i punteggi. C’è un giudice per lato attorno al ring e tutti e quattro consegnano il giudizio all’arbitro, che è sul ring. L’arbitro consegna i giudizi al commissario di gara, che fa le somme e poi l’arbitro decreta la vincita dell’angolo blu o dell’angolo rosso.

 

“Raccontare la boxe attraverso un reportage che ha come protagonisti gli atleti (prima, durante e dopo gli incontri) e i loro maestri sarebbe stato già visto.
La narrazione sarebbe stata parziale perché incentrata sullo sforzo fisico e non sullo sport in sé. La volontà era di ampliare il punto di vista sul pugilato: l’arbitro -onnipresente osservatore pronto a intervenire- è diventato automaticamente la figura chiave, trasformandosi in soglia, varco, epifania e assumendo lo stesso valore degli speakers che, nella fase pittorica manieristica seicentesca, erano indispensabili per aiutare a comprendere appieno la scena che si consumava davanti agli occhi del pubblico.”

 

 

DANIELE: Si tratta di foto scattate in riunioni a giornate singole, la maggior parte in Emilia-Romagna.
In fase iniziale ho proposto il progetto alla Federazione Pugilistica Italiana e Alessandro Renzini, coordinatore nazionale degli arbitri e dei giudici mi ha chiesto di estenderlo al maggior numero di arbitri su tutto il territorio nazionale. Quindi ho fatto delle trasferte in tutta Italia, da Mondovì (Cuneo), fino a Gallipoli, rispettivamente per i campionati Youth e per gli Assoluti.
Giuliano Niccolò Ligabue, tecnico e responsabile attività giovanile FPI, è stato il primo ammiratore di questo lavoro. Ma, facendo un passo indietro, nel 2019 ho avuto il primo contatto con Michela Pellegrini, responsabile nazionale marketing e comunicazione, che ha dato il via libera. Poco dopo però è scoppiata la pandemia. Non solo c’è stata la sospensione delle competizioni, ma quando nel 2021 sono riprese, fino a buona parte del 2022, l’arbitro sul ring indossava la mascherina.
E, per un lavoro come il mio, fatto di espressioni, era molto limitante. A fine 2022 ho potuto riprendere il progetto.

Come hanno recepito gli Arbitri il tuo progetto?

Tredici arbitri su sessanta coinvolti hanno accolto il progetto con entusiasmo e hanno acquistato il fotolibro. Forse non tutti l’hanno capito fino in fondo o semplicemente ognuno di noi ha una sensibilità diversa.

Tu pratichi la boxe in prima persona: quali sono le sensazioni di un pugile durante il match?

Quando sei sul ring sei talmente concentrato che l’ambiente attorno è ovattato, non senti altro che quello che ti viene urlato dal coach che sta nel tuo angolo e quello che ti dice l’avversario.

Fino a che età può praticare un pugile ?

Negli incontri federali di pugilato si può esordire fino ai 40 anni, in alternativa c’è la “gym boxe”, in cui si può praticare anche a 65 anni. Io scherzosamente l’ho ribattezzata “gin boxe” e ho fatto stampare per me su una maglia l’immagine di un pugile che esce fuori dal bicchiere di gin tonic.
Mi rappresenta!

 

L’uso del BLACK&WHITE e le affinità tra boxe e fotografia 

Perché hai scelto il bianco e nero? E, se c’è, qual è il fotografo che più ti ha ispirato?

Ti do una prima risposta in “versione nobile” con citazione dal film del 1982 di Wim Wenders, Lo stato delle cose: “La vita è a colori, ma il bianco e nero è più realistico.” La boxe per me non è mai stata a colori, complici Toro Scatenato e lo scatto iconico Alì-Liston. Poi sono un grandissimo ammiratore di Mario Giacomelli. Adoro i suoi bianco/nero con neri molto profondi e bianchi sparatissimi, quasi evanescenti, quindi ho voluto seguire quest’importante impronta. Seguire. Non tentare di copiare. Per la foto sulla quarta di copertina mi sono ispirato a uno scatto di Richard Avedon in cui sono ritratte donne dell’alta società mentre si mettono in posa davanti al suo obiettivo. La seconda versione della risposta è “off the records”: solitamente alle riunioni ci sono delle luci neon azzurro-verdognoli agghiaccianti, quindi in bianco e nero è tutto più bello!

Quali sono secondo te le affinità tra la fotografia e la boxe? Da spettatrice direi che risulti tutto molto “d’azione”, veloce, e immagino che sia come fotografo che come pugile devi essere rapido, si tratta di scegliere il momento opportuno…

Sai che non ci avevo ancora pensato? In effetti sono molto simili…. avere la macchina in mano, scattare e fare una foto brutta è un attimo, stare sul ring, voler fare base sinistro, destro, gancio sinistro, non solo senza neanche fare impensierire l’avversario ma scoprendosi e prendendosi un destro, è un attimo anche quello.
Devi essere allenato in entrambe le pratiche, sia per fare un certo tipo di fotografia, che per fare boxe e saper stare sul ring. E questo non si traduce solo ad altissimi livelli, anzi, indipendentemente dal livello devi essere allenato: occhio, mano, braccia, gambe.
Se il pugile avversario ha già “letto” le tue intenzioni, come quando tiri un jab (o “diretto sinistro”, fa parte del repertorio classico dei colpi di un pugile, ndA) , “jabbi”, jabbi, jabbi, al terzo l’altro ti ha preso il tempo, t’incrocia per bene e ti prendi un bel “colpo di incontro” (quando si viene presi in controtempo sul proprio attacco, con una flessione indietro del busto o con un mezzo passo indietro, l’avversario risponde anticipandolo: quindi siamo “andati incontro” al pugno, ndA). E ovviamente rimani stordito.

 

Daniele Fermani è stato Presidente della Pugilistica Navile fino a fine 2023. È tornato ora ad allenarsi al TPO, dove tutto è cominciato.

Daniele Fermani Su IG: @a_simple_look

 

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