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Mei/Indipendenti

MEI. Dente prova a svecchiarsi, ma arriva tardi

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DENTE

Dente riparte da un album omonimo, il 7° della sua carriera.

Non deve essere facile avere una carriera come quella di Dente: entrato nel secondo decennio della sua carriera, non è mai riuscito realmente ad emergere, arrivato troppo tardi per far parte dei grandi nomi della generazione precedente e troppo presto per far parte della rivoluzione “indie” dello scorso decennio.

Padre putativo di tutti i vari Calcutta e Gazzelle di oggi, chiuso il primo ciclo di carriera con “Canzoni per metà“, arrivato proprio nel 2016 anno di svolta del nuovo pop italiano, Giuseppe Peveri in arte Dente, vive oggi l’inevitabile contrappasso del reinventarsi, per quanto possibile.

Via le chitarre acustiche, benvenute batteria elettroniche, synth e una produzione contemporanea dal volenteroso piglio radiofonico.

Purtroppo però, “Dente“, settimo album per l’artista fidentino, sembra un disco svogliato e controvoglia, quasi fuori luogo in un vestito preso in prestito e trovato di qualche taglia più grande. Il tono di voce disincantato e assonnato di Dente mal si presta agli arrangiamenti disco-funk dell’album, senza d’altronde avere nessuna particolare ricercatezza, quanto piuttosto accodandosi stancamente nel suono retromanicamente abusato di questi anni, a volte risultando indistinguibili tra i brani.

Anche come scrittura Dente sembra peggiorato, come se una volta finiti gli argomenti non rimanesse che il puro stile, da applicare come maniera lasciando nell’angolo i contenuti. Non che si deve per forza scrivere canzoni su ogni cosa, sia chiaro (anche se mi aspetterei una canzone sugli shampoo per camaleonti, per dirne una), ma il dubbio resta.

Dove sono finiti i geniali giochi di parole che hanno sempre caratterizzato Dente?

Fermo restando che l’arguzia dei suoi calembour ha sempre sviato l’attenzione sulla leggerezza (non positiva) dei suoi testi, eliminato anche quell’aspetto ci si trova davanti canzoni che hanno poca voglia di raccontare, e quando raccontano gli aspetti più personali di Dente, come nella assai sincera “Anche se non voglio“, ci si trova davanti in una lista abusata di immagini comuni.

Sembra inevitabile pensarlo, per quanto brutto: forse Dente ha detto tutto quello che doveva dire. Nel suo ultimo brano i momenti memorabili sono pochi e la sua scrittura si rivela essere troppo in ritardo rispetto il mondo degli anni ’90 – che ancora oggi risulta credibile – e troppo in ritardo perfino per il nuovo indie/itpop, che nel frattempo l’ha superato a destra senza permettergli di mettersi in scia.

Una volta finito l’album, sembra quasi di sentirselo dire proprio da Dente: un caso che l’ultima traccia – una delle più deboli – si chiami “Non cambio mai“?

Nondimeno, staremo a vedere se e quanto questo album permetterà a Dente di tornare in pista, magari presentando qualcosa che risulti piacevolmente diverso da quello a cui ci siamo abituati, e che non avrebbe più senso riproporre ancora.

VOTO: 5/10

AGGETTIVO: RITARDATARIO

TRACKLIST:

  1. Anche se non voglio
  2. Adieu
  3. Tra 100 anni
  4. Cose dell’altro mondo
  5. Sarà la musica
  6. Trasparente
  7. L’ago della bussola
  8. Non te lo dico
  9. Paura di niente
  10. La mia vita precedente
  11. Non cambio mai

ALBUM: DENTE

ARTISTA: DENTE

ANNO: 2020

ETICHETTA: INRI/Artist First

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