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Italia ai playoff per il Mondiale 2026: un altro bivio della storia azzurra

La sconfitta per 4–1 contro la Norvegia ha spinto gli Azzurri al secondo posto e quindi agli spareggi, per la terza volta consecutiva in un ciclo di qualificazioni mondiali.

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Nazionale di calcio italiana
Nazionale di calcio italiana (© Depositphotos)

L’Italia si presenta ancora una volta ai playoff Mondiali con la sensazione di muoversi sul crinale tra rilancio e nuova ferita sportiva. La sconfitta per 4–1 contro la Norvegia nell’ultima giornata del Gruppo I ha consegnato il primo posto e la qualificazione diretta agli scandinavi, capaci di chiudere con otto vittorie su otto, e ha spinto gli Azzurri al secondo posto e quindi agli spareggi, per la terza volta consecutiva in un ciclo di qualificazioni mondiali.

Il clima che circonda la Nazionale è carico di significati. I principali quotidiani sportivi, i siti d’informazione e i media internazionali sottolineano come una squadra quattro volte campione del mondo sia di nuovo costretta a passare dalla porta stretta. Programmi televisivi, editoriali e rubriche di approfondimento intrecciano analisi tecniche e riferimenti ai precedenti del 2017 e del 2022, quando l’Italia si è fermata proprio agli spareggi. Sui social, la discussione è continua: si alternano fiducia e timore, ironia amara e appelli a sostenere la maglia a prescindere.

In questo mosaico di voci entrano anche elementi che fotografano l’interesse generale intorno all’evento: le promozioni dei siti di scommesse, citate accanto agli speciali dei media e alle iniziative commerciali legate alla Nazionale, vengono lette come uno dei tanti segnali di quanto l’appuntamento di marzo catalizzi l’attenzione del pubblico. Il messaggio che arriva, guardando nel complesso opinione pubblica, stampa e mondo digitale, è piuttosto netto: il percorso dell’Italia verso il Mondiale 2026 è percepito come un passaggio dal peso specifico enorme, non solo sportivo ma anche simbolico.

Dal girone con la Norvegia al sentiero degli spareggi

Il cammino nelle qualificazioni UEFA racconta bene come si sia arrivati a questo punto. Inserita nel Gruppo I, l’Italia ha chiuso alle spalle di una Norvegia trascinata da Erling Haaland, miglior marcatore dell’intera zona europea con 16 reti, e capace di imporsi a Bergamo nello scontro diretto decisivo con un 4–1 che ha ribaltato il vantaggio iniziale firmato Francesco Pio Esposito. 

Il girone non è stato comunque fallimentare dal punto di vista del rendimento puro: le vittorie, tra cui il 2–0 esterno in Moldavia con gol nel finale di Mancini ed Esposito, hanno tenuto aperta fino all’ultima giornata la possibilità di agganciare la vetta. La differenza l’ha fatta la continuità della Norvegia, capace di capitalizzare i propri momenti e di trasformare in punti quasi ogni prestazione. Il verdetto finale è chiaro: primi loro, qualificazione diretta; secondi gli Azzurri, destinati alla seconda fase.

Il regolamento UEFA prevede che le dodici seconde classificate dei gironi, insieme a quattro nazionali provenienti dalla Nations League, compongano il quadro delle sedici squadre chiamate a contendersi gli ultimi quattro posti europei per il Mondiale. L’Italia rientra quindi nel blocco dei playoff non per un crollo, ma per un equilibrio che, in un sistema così rigido, non concede sconti: chi non chiude davanti, si gioca tutto a marzo. 

Sorteggio, percorso e formato: cosa attende l’Italia a marzo

Il sorteggio di Zurigo ha messo nero su bianco la strada che porta eventualmente al Nord America. La Nazionale è stata inserita nel Path A delle qualificazioni europee, insieme a Irlanda del Nord, Galles e Bosnia ed Erzegovina. Il tabellone prevede una semifinale interna tra Italia e Irlanda del Nord e un’altra semifinale tra Galles e Bosnia, con la vincente di questa seconda gara destinata a ospitare la finale contro chi uscirà dal confronto degli Azzurri. 

Il formato è semplice nella struttura ma spietato nelle conseguenze: semifinale il 26 marzo 2026, finale cinque giorni più tardi, sempre in gara unica. Solo la vincitrice del percorso staccherà il biglietto per il Mondiale di Stati Uniti, Canada e Messico. In totale, sui sedici partecipanti europei ai playoff, solo quattro potranno aggiungersi alle dodici già qualificate tramite i gironi.

Il nome dell’avversario della semifinale, l’Irlanda del Nord, riporta alla memoria sfide del passato e notti complicate in stadi caldi, anche se questa volta sarà l’Italia a giocare in casa. Dall’altra parte del tabellone, Galles e Bosnia rappresentano due profili diversi ma ugualmente scomodi: i britannici hanno spesso mostrato compattezza e capacità di esaltarsi nelle gare eliminatorie, mentre la nazionale bosniaca, pur reduce da anni altalenanti, conserva individualità in grado di incidere. I commenti dei principali analisti europei convergono su un punto: il percorso è alla portata, ma non esiste margine per sottovalutazioni. 

Il peso dei precedenti: dal 2014 alle estromissioni del 2018 e 2022

A dare spessore emotivo a questi playoff c’è un dato storico che ricorre ormai in ogni analisi: l’Italia non partecipa a un Mondiale dal 2014. In Brasile gli Azzurri furono eliminati ai gironi, ma erano comunque presenti al torneo. Da allora, due cicli di qualificazione si sono chiusi nel modo più doloroso possibile, entrambi ai playoff. 

Nel 2017 la corsa verso Russia 2018 si è fermata contro la Svezia, capace di vincere 1–0 l’andata a Solna e di difendere il risultato a San Siro in un ritorno che ha rappresentato uno shock nazionale. Nel 2022 è stata la volta della Macedonia del Nord, capace di espugnare Palermo con un gol nel finale e di negare all’Italia la possibilità di giocarsi la qualificazione nella finale contro il Portogallo. In pochi anni, una delle nazionali più titolate della storia si è ritrovata spettatrice alle due edizioni successive del torneo più importante. 

Questo passato immediato rende inevitabilmente più pesante ogni discorso legato agli spareggi attuali. Non si tratta solo di un obiettivo sportivo, ma del tentativo di spezzare una sequenza di fallimenti che ha segnato una generazione di tifosi. Non sorprende quindi che molti commentatori parlino di “vecchi demoni” che tornano a bussare alle porte di Coverciano. 

Stato della Nazionale, critiche e temi tecnici sul tavolo

La gestione di questa fase è affidata a Gennaro Gattuso, subentrato a ciclo di qualificazione in corso e chiamato a ridare identità a una squadra reduce da cambi di guida tecnica e da un Europeo deludente. I report delle ultime settimane raccontano di un commissario tecnico molto esposto mediaticamente, diviso tra la volontà di difendere il proprio operato e la necessità di ammettere la difficoltà del compito. Alcune sue dichiarazioni sulla durezza del formato europeo, soprattutto se paragonato a quello di altre confederazioni, sono state rilanciate da diversi media come segnale della tensione che circonda il gruppo. 

Sul piano strettamente tecnico, le analisi convergono su alcuni nodi. Il primo riguarda la capacità dell’Italia di trasformare il dominio territoriale in pericolosità reale. Le partite di qualificazione hanno evidenziato momenti in cui il possesso è stato prolungato ma poco incisivo, con difficoltà a creare occasioni pulite contro avversari chiusi. Allo stesso tempo, la fase difensiva ha mostrato solidità per lunghi tratti, ma è crollata nei momenti chiave, come proprio nella sfida con la Norvegia che ha deciso il girone. 

Altro tema centrale è quello delle risorse offensive. Alcuni dei giocatori più attesi, tra cui Federico Chiesa, sono stati al centro di dibattiti sulla forma fisica e sul rendimento nei rispettivi club, mentre profili emergenti come Francesco Pio Esposito si sono messi in luce soprattutto in nazionale, aumentando le aspettative ma anche la pressione. Le cronache sottolineano la necessità di trovare un equilibrio tra il rilancio di elementi giovani e l’affidamento sulle gerarchie consolidate. 

La tenuta mentale, infine, resta un capitolo a parte. Più di una volta, in questo ciclo, l’Italia ha avuto bisogno di sbloccare i propri match nel finale, come dimostra la vittoria in Moldavia arrivata negli ultimi minuti. Questa capacità di insistere fino all’ultimo può essere letta come segnale di carattere, ma molti osservatori chiedono un passo in avanti nella gestione delle partite, per evitare di arrivare a marzo con il peso di una qualificazione appesa a episodi estremi. 

Dimensione psicologica e significato per il movimento

Sul piano emotivo, i playoff di marzo vengono vissuti come un giudizio non soltanto su questa generazione di calciatori, ma sull’intero sistema calcio italiano. La possibilità di mancare tre Mondiali di fila viene percepita come una sorta di confine storico, dopo il quale nulla potrebbe rimanere com’era prima. I commenti che arrivano da giornali, televisioni e piattaforme internazionali insistono molto sulla sproporzione tra il peso della tradizione azzurra e la frequenza con cui la Nazionale si trova a rischio esclusione dal torneo più prestigioso. 

Allo stesso tempo, in questo quadro di forte pressione si intravede anche una possibilità. Qualificarsi passando attraverso Irlanda del Nord e una tra Galles e Bosnia significherebbe non solo rientrare tra le partecipanti al Mondiale dopo dodici anni di assenza, ma farlo dimostrando di avere saputo reggere un contesto ostile, con il peso del passato sulle spalle. Questo playoffs path viene raccontato da molti come un esame di maturità collettivo: per la squadra, per lo staff, per la federazione e per un ambiente che dovrà decidere come valutare l’intero ciclo a seconda dell’esito di queste due partite. 

Da qui a marzo il dibattito non si fermerà. Si parlerà di convocazioni, di scelte tattiche, di equilibri nello spogliatoio. Ma la linea di fondo è già tracciata: l’Italia arriva a questi playoff consapevole di giocarsi molto più di un semplice biglietto per il Mondiale. In palio ci sono la ricostruzione del rapporto con i propri tifosi, la credibilità del movimento e la possibilità di restituire alla maglia azzurra il palcoscenico che storicamente le appartiene.

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