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Rita De Crescenzo: lo scandalo dell’autenticità

Rita De Crescenzo: lo scandalo dell’autenticità. La tiktoker napoletana a Belve sfoggia la sua capacità di narrare l’anima dannata di Napoli. Poco importa se la sua narrazione sia genuina o la costruzione di un personaggio studiato per creare ragebait, ciò che conta è che la sua storia trasuda credibilità.

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Rita De Crescenzo: lo scandalo dell'autenticità. La tiktoker napoletana a Belve sfoggia la sua capacità di narrare l'anima dannata di Napoli. Poco importa se la sua narrazione sia genuina o la costruzione di un personaggio studiato per creare ragebait, ciò che conta è che la sua storia trasuda credibilità.
Crediti foto decrescenzo.r Instagram

Per una RAI in crisi cronica di ascolti “Belve” è un salvagente. Ormai Francesca Fagnani ha sviluppato la capacità di capire esattamente cosa crea polemica, cosa può finire virale, e soprattutto come sfruttare tutto questo per accrescere la sua aurea di outsider del giornalismo italiano. L’intervista a Rita De Crescenzo è il perfetto esempio della maestria della Fagnani, e si basa su un’intuizione geniale: la tv ha disperato bisogno di autenticità. Andiamo a capire il perché.

Fra share e riscatto

La scelta operata da “Belve” di portare la signora De Crescenzo in trasmissione, si inserisce in una linea editoriale che mira a posizionare il programma come un unicum all’interno del palinsesto RAI. La Fagnani infatti ha come obbiettivo creare scalpore, rompere la cappa istituzionale e “moderata” del servizio pubblico, per offrire quegli spaccati di “vita vera e senza filtri” che programmi analoghi promettono senza però darci ciò che chiediamo, ossia la certezza che siano autentici. E cosa c’è di più autentico di una storia di caduta e redenzione proveniente da Napoli? Cosa c’è di più vero di un’influencer che ha fatto della fedeltà alla propria origine campana la propria bandiera sui social? Nulla, o almeno così potrebbe sembrare.

Il Sud di Gomorra

Prima di parlare della De Crescenzo bisogna capire però da quale immaginario trae forza il suo personaggio, e per farlo non si può non citare Gomorra. E’ la Campania dell’abbandono scolastico, della criminalità organizzata, della violenza cieca e senza sbocco quella rappresentata dalla tiktoker, una Campania resa internazionale dal successo di Gomorra e che riflette una situazione che in parte è reale, in parte è una riduzione romanzesca di una complessità irrapresentabile. Irrapresentabile perché fatta di troppe luci ed ombre, di storie che sembrano viaggiare su universi paralleli, di contesti sociali incomunicanti. Per capirci: come collegare la Napoli sottoproletaria della De Crescenzo alle eccellenze sfornate dall’università Federico II? Come trovare un filo conduttore fra la Napoli in cui le case hanno prezzi che rivaleggiano con Londra con quella dei quartieri come Scampia? Non si può, ed è qui che sta il fascino della Napoli bella e maledetta.

Napoli fra globalizzazione e campanilismo

La Napoli della De Crescenzo non è un luogo fisico, ma un luogo mentale, non è uno sfondo per i reel su Instagram, ma un mindset. L’esatto opposto insomma di quello che è diventato il Nord, ossia una sorta di immenso set per influencer tutte uguali che lavorano per brand internazionali, producendo contenuti intercambiabili con qualsiasi loro collega statunitense, inglese o francese. In questo contesto Napoli è la città che unisce una vocazione internazionale con la capacità di essere immediatamente riconoscibile, irriducibile a qualsiasi tentativo di renderla intercambiabile con un’altra città europea. Questo non perché Napoli sia fisicamente unica, ma perché produce una cultura che non si vergogna di essere ancorata ad una precisa storia, ad una lingua, ad un modo di vedere la vita che è marcatamente diverso dal resto del mondo. Napoli insomma non si vergogna di essere autentica.

L’autenticità è l’oro dei social

E qui veniamo alla questione della De Crescenzo. La tiktoker ha compreso che l’autenticità di Napoli è ampiamente vendibile sui social, perché permette di creare contenuti riconoscibili, di smuovere il ragebait, di creare polemiche e viralità. Ha capito soprattutto che questa autenticità va aiutata con alcuni accorgimenti tecnici, ad esempio marcando all’inverosimile l’estraneità di Napoli rispetto al resto d’Italia: la scelta di parlare unicamente napoletano nell’intervista con la Fagnani, fingendo di mal comprendere l’italiano (che a quanto pare la tiktoker prima di farsi un nome sui social capiva e parlava senza problemi), è un modo di creare contrapposizioni ottime per scatenare polemiche sui social. La De Crescenzo sa benissimo di non essere Napoli, ma recita in maniera ottima una parte dell’anima napoletana, che nel suo personaggio si riconosce e trova una sua dignità e potenzialità di riscatto.

Follower e processi

Le critiche che stanno piovendo sulla Fagnani di aver invitato la De Crescenzo per fare ascolti sfruttando il razzismo antimeridionale sono quindi fuori fuoco. Alla conduttrice di “Belve” poco importa dell’antimeridionalismo, ciò che le importa è sfruttare il trend dell’autenticità, di qualcosa di unico e irripetibile a cui solo lei nella tv pubblica può dare voce. La De Crescenzo l’autenticità la sa estrarre da ogni poro, e sa soprattutto come renderla divisiva: la sua storia di caduta e redenzione la racconta così bene che è difficile credere che le carte processuali ne raccontino una ben diversa, e lei sa come sfruttare questa discrepanza fra la sua narrazione e quella della magistratura per risaldare la sua fanbase e ed esasperare ancora di più gli haters.

This is not Napoli

Chi è dunque Rita De Crescenzo? Una piccola criminale benedetta da Tiktok o un esempio dell’anima popolare di Napoli? Un parafulmine per sfogare l’odio antimeridionale o un personaggio costruito ad arte per creare ragebait? La Fagnani non se lo chiede e nemmeno noi dovremmo farlo: chi è realmente Rita De Crescenzo interessa solamente a lei e alla magistratura. Ciò che interessa a noi è goderci una storia ben fatta della Napoli popolare che trasuda autenticità, poco importa se questa autenticità è genuina, aggiustata o in larga parte artefatta. In un’epoca di città anonime e influencer plasticati, la Napoli dannata e la sua umanità verace serve come il pane, e la Fagnani questo l’ha capito monetizzandolo alla perfezione.

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