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Raoul Bova: siamo nell’era della fine della privacy?
Raoul Bova: siamo nell’era della fine della privacy? La disavventura di Bova divide il web fra fautori della privacy e nostalgici della gogna. Per chi sostiene il diritto alla privacy i comportamenti sessuali dei singoli non devono essere giudicati pubblicamente, mentre per i fautori della gogna mediatica conoscere i comportamenti privati sarebbe un modo per preservare la sacralità della famiglia ed evitare di finire vittima di individui “tossici”.

Lo scandolo sulla diffusione di chat private fra Raoul Bova e la sua fiamma 23enne divide il web italiano. Dietro quella che sembra una banale questione di corna pubblicate sui social si nasconde un problema molto più spinoso: il conflitto fra il diritto alla privacy e quello di cronaca (rosa). Se la legislazione italiana considera reato la diffusione di chat private, la percezione sociale se questo sia reato o diritto di cronaca è molto più sfumata. Vediamo che succede.
I fatti
Raoul Bova e la modella Martina Ceretti avrebbero avuto una breve relazione, di cui conosciamo l’esistenza a causa della divulgazione delle chat fra i due nel podcast “Falsissimo” di Fabrizio Corona. Prima della pubblicazione del materiale, Bova avrebbe ricevuto su Whatsapp dei messaggi da un ignoto con numero telefonico spagnolo, che sosteneva di essere entrato in possesso della chat e di volerle vendere a Corona. Bova avrebbe potuto evitare la pubblicazioni se avesse fatto un “regalo” al ricattatorte ignoto. Bova ha deciso di ignorare i messaggi del ricattatore anonimo, che ha quindi venduto il materiale scottante a “Falsissimo”.
La legge è legge
Secondo la legge italiana la diffusione di messaggi o audio privati senza consenso della persona coinvolta è vietata. Solo in rarissimi casi, quando esiste un reale interesse pubblico la diffusione è lecita, queste eccezioni riguardano reati, fatti di interesse politico e quindi non la cronaca rosa. Anche nelle eccezioni , va tuttavia tutelato il rispetto della dignità delle persone coinvolte. La punizione prevede sanzioni fino a 20 milioni di euro, il risarcimento danni, la responsabilità penale nel caso si offenda la reputazione e la rimozione immediata del contenuto. E’ evidente quindi che la cronaca rosa non occupandosi né di politica né di potenziali reati non rientri in alcun modo nelle esenzioni previste dalla legge.
Conseguenze
Tralasciando la parte legale, Bova subito dopo la divulgazione del materiale ha sostenuto che lui e la compagna Rocio Munoz Morales erano da tempo separati in casa. La Morales ha subito smentito le dichiarazioni dell’attore, sostenendo che ha scoperto delle scapatelle del compagno dai giornali, e ha deciso di rivolgersi ad uno studio legale per tutelare sé e le figlie avute con l’attore. Finora queste sono le conseguenze sulla vita privata, il vero problema per Bova però è il tribunale dell’opinione pubblica.
La privacy a corrente alternata
La questione centrale per Bova, adesso, è come il suo pubblico percepisce la faccenda. Gli schiaramenti sono nettamente divisi: da una parte ci sono i fautori della privacy, che ritengono i problemi familiari una questione che si risolve solo e solamente nel privato, dall’altra parte ci sono invece coloro che sostengono che essendo coinvolte delle minorenni (le due figlie nate rispettivamente nel 2015 e nel 2018) il diritto alla privacy sia secondario rispetto alla loro tutela. Questi ultimi, per tutela della bambine, intendono il conoscere la verità sui comportamenti sessuali del proprio padre, anche a costo di vivisezionarli sui media.
La famiglia è la famiglia
Vediamo meglio le argomentazioni dei sostenitori del dirito alla privacy. Secondo loro, i comportamenti sessuali sono fatti che riguardano solo i singoli, anche se inseriti nel contesto della famiglia. Il fatto che ci siano figli minorenni non cambia nulla, anzi: la privacy tutela anche loro evitando che fatti umilianti o traumatizzanti vengano messi sulla pubblica piazza. La cronaca non dovrebbe assolutamente occuparsi di questioni di corna e simili, dato che non hanno alcuna rilevanza sociale o politica, ma vengono spesso utilizzate per ricatti, sgambetti lavorativi e ritorsioni.
I panni sporchi si lavano in pubblico
Chi sostiene invece la necessità di tutelare i minori a discapito della privacy, utilizza un argomento molto caro a noi italiani: la tutela dell’integrità della famiglia. Secondo costoro, la legge sulla privacy non dovrebbe tutelare i fedifraghi, perché ingannerebbero i partner e traumatizerebbero i figli creando così danni non solo a sé e ai propri cari, ma persino caos sociale. La minaccia di divulgare pubblicamente chat e audio privati quindi sarebbe una sorta di deterrente: la paura della gogna pubblica farebbe da freno alle voglie di tradire il/la partner. In quest’ottica i diritti del singolo vengono quindi sottomessi al bene della famiglia e dell’ordine sociale.
Relazioni tossiche
Un’ala minoritaria ha avanzato un’altra argomentazione, assai interessante perché inedita in Italia: la privacy non deve tutelare chi instaura relazioni tossiche. Secondo questa visione il tradimento è l’indice di una relazioni tossica, cioè psicologicamente malata. Il mettere in piazza audio e chat private tutela quindi l’intera collettività perché permette di sapere chi instaura relazioni tossiche e chi no, e quindi di evitare ad “innocenti” di cadere in relazioni malate. Questo è un aiuto anche alle persone “tossiche”, perché la paura della gogna pubblica le spingerebbe a cercare l’aiuto di uno psicoterapeuta e quindi a diventare persone “sane”.
Il punto della questione
Se la legge è chiara e quindi chi ha divulgato il materiale privato di Bova finirà in tribunale, il vero problema è la frattura di percezione sociale intorno alla questione della privacy. I fautori del suo ridimensionamento sono trasversali per età, istruzione e argomentazioni, tuttavia ciò che li unisce è la volontà di ripristinare l’idea di vergogna pubblica, che è strettamento correlato all’istituto della “gogna”. Un concetto caduto in disuso negli anna ’80, in cui si è rivendicato il diritto di ogni individuo a comportarsi privatamente come meglio crede senza temere lo stigma sociale. Dopo 40 anni però questa idea non riscuote ancora l’unanimità ma, anzi, viene vista come un modo per difendere individui tossici, sfascia famiglie e mentitori seriali.