Attualità
I videogiochi vogliono farci perdere
I videogiochi vogliono farci perdere. Una nuova ondata di titoli offre più libertà in cambio di frustrazione, e i gamers sono entusiasti. Dopo due decenni di mondi aperti dove il giocatore era guidato per mano perché non si perdesse, ora una nuova generazioni di capolavori toglie mappe, indicatori e obbiettivi spiegati nei dettagli per lasciare il giocatore libero di smarrirsi, non saper cosa fare, perdere stupidamente e imaprare dai propri errori.

Una nuova ondata di videogiochi di successo come Kingdom come deliverance 2, Hell is Us, Expedition 33, hanno in comune una filosofia comune: chiedono al giocatore di perdersi. Basta con mappe, indicatori, missioni pilotate fino al gran finale, al giocatore è chiesto di rallentare, non saper cosa fare, sbagliare e trovare la sua strada. E’ una rivoluzione concettuale enorme, che ingloba una serie di altre tendenze contemporanee verso prodotti d’intrattenimento più lenti, ragionati e di difficile fruizione. Vediamo che succede.
Uno scoglio nella tempesta
Dagli anni 2005 in poi le capacità tecniche dei pc e delle console hanno permesso di creare videogames sempre più vasti. Tramontata l’era del videogioco scriptato che ti costringeva a seguire passo passo quanto programmato dai developers, hanno iniziato a piombare sul mercato giochi dai mondi aperti e semi-aperti, in cui al giocatore era permesso esplorare “liberamente” il mondo di gioco. Questa nuova libertà ha fatto la fortuna dei primi grandi titoli che implementavano l’innovazione, ma sorse una contraddizione: per la prima volta, dagli anni ’80, perfino i gamers più esperti si sentivano smarriti. A volte non sapevano cosa fare e dove dover andare per proseguire nel gioco. Di fronte a questa problematica inedita i developers dovettero trovare un modo per non ridurre la libertà appena data al giocatore, ma nemmeno farlo sentire frustrato perché non sapeva come usarla. La soluzione apparve di lì a poco, e s’impose senza alcuna significativa resistenza.
La libertà del bambino nel bosco
Il problema da risolvere era complesso: garantire mondi sempre più vasti e aperti e, nel contempo, evitare che il giocatore si perdesse. La soluzione adottata fu talmente geniale e divenne uno standard durato fino ad oggi: implementare in mondi sempre più grandi un sistema d’orientamento (mappa, indicatori video, punti luminosi e simili) che permetteva al giocatore di sapere sempre dov’era, dove doveva andare e cosa doveva fare. Il gioco quindi guidava il giocatore come un padre che porta il figlio a caccia per la prima volta: il bambino sente di essere lasciato libero nel vasto mondo selvaggio, mentre il padre si limita e tenerlo d’occhio in modo che non si faccia troppo male. In realtà quella del bambino è un’illusione: il padre è distante ma onnipresente, e guida passo passo il pargolo verso la preda, indicandogliela costantemente. Solo quando il bambino crescerà capirà che il padre aveva scelto la preda, il luogo in cui cacciarla, le attrezzature da portarsi appresso e il resto, in modo che il figlio non rischiasse mai di smarrirsi. Per 20 anni gli sviluppatori hanno trattato i giocatori come il padre della metafora e solo ora, a quanto pare, i giocatori-bambini cominciano a sentirsi adulti ed insofferenti.
Trattarci da adulti
Dopo un ventennio di giochi basati su questa filosofia, nel 2025 sembra iniziare una nuova era. Ora i developers cominciano a contestare la scelta operata 20 anni prima, sostenendo che la libertà “guidata” ha creato due generazioni di videogiocatori apatici, compulsivi, disabituati alla complessità e alla lentezza, quindi è giunta l’ora di proporre loro prodotti che li “costringano” a rallentare, ragionare, fermarsi a riflettere. Non è una caso che spesso, nelle interviste, i devolpers parlino anche della frenesia dei social e delle difficoltà dei figli a concentrarsi a scuola, dato che social e videogiochi sono stati sviluppati per due decenni con la stessa filosofia di base: essere il più veloci, dopaminici ed eteroguidati possibile. In fondo la libertà controllata dei videogiochi non è diversa dalla navigazione guidata dall’algoritmo quando scrolliamo Instagram, fb o TikTok, algoritmo che sembra darci accesso al mondo quando in realtà ci chiude in una bolla.
Questione di pratica
Fin qui la teoria, ma in pratica come si traduce tutto ciò? Per spiegarlo partiremo dal gioco di successo che ha esplorato la nuova filosofia del diritto a perdersi portandola al virtuosismo. Nella modalità Hardcore di Kingdom Come Deliverance II al giocatore non sono fornite mappe né indicatori. Il gamer si trova quindi catapultato nella Boemia del XV° secolo e gli viene chiesto di cavarsela come farebbe un boemo di quell’epoca: parlare con la gente trovata per la strada o nei villaggi per sapere che fare e dove andare, annotarsi particolari paesaggistici sul taccuino per ricordarsi la strada, memorizzare elementi architettonici per non perdersi nei centri abitati. Nel caso ad un certo punto ci si smarrisse, si può chiedere la strada ad un pastore o ad un mercante, sempre che non si sia finiti in un bosco e le uniche forme viventi a circondarci non siano lupi, briganti e bracconieri.
Gestire la rabbia
La domanda che fanno tutti prima di provare la modalità hardcore di Kingdom Come Deliverance II è: ma quanto è frustante questa esperienza? La risposta è: molto. Perdersi è facile, bisogna costantemente prestare attenzione ad ogni spostamento, ricordarsi di mangiare, bere e dormire appena se ne ha la possibilità, perché morire per una carica di animali selvatici, un agguato improvviso dei briganti, un combattimento affrontato con leggerezza è la norma. Eppure questo ci costringe a pensare ad ogni passo da fare, a rallentare e prestare attenzione all’ambiente, a trattare il nostro alter ego boemo con la cura che riserviamo alla nostra persona nella realtà. A quante persone può interessare un’esperienza del genere? Finora a circa 10 milioni di persone, una fetta di mercato molto più ampia di quanto ci si aspettasse. Chi sono questi 10 milioni di masochisti? Per lo più maschi millennials, di medio-alta istruzione e con una lunga pratica di videogames. Guarda caso lo stesso identikit dei genitori che chiedono alla scuola meno social e hi-tech e più manualità e complessità, di limitare la scrittura al pc per tornare alla lentezza del corsivo.
Il futuro
La nuova tendenza è appena partita, e ha avuto la rara fortuna di coniugare successo di critica e successo pubblico, innovazione concettuale e utili netti a 6 zeri per le software house che l’hanno abbracciata. Dato il successo, è naturale aspettarsi che nel prossimo futuro questa filosofia diventi il nuovo standard, come lo è stato la libertà guidata nel ventennio precedente. Questo non significa che tutti i videogiochi seguiranno questa strada: una grossa fetta di pubblico (in particolare adolescente) vede in questa nuova complessità una trovata da adulti, di vecchi in fuga da un mondo scolastico, social e videoludico che li ha lasciati indietro. Quindi è molto probabile che si crearanno due mercati paralleli e ugualmente redditizzi, basati su un paradosso: un mercato per millennials basato sulla nuova filosofia e un altro che conserva quella vecchia per i giocatori della Gen Z e Alpha. Sia come sia, nel 2025 è successo qualcosa di inaspettato: milioni di consumatori hanno abbracciato con gioia la frustrazione di essere liberi.