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I videogiochi fanno bene al turismo
I videogiochi fanno bene al turismo. Dopo il successo della partnership fra Giappone e Sony, l’Italia può usare Arc Raiders per promuovere Napoli. Il successo di Ghost of Yotei ha permesso al Giappone di promuovere con successo il turismo nella poco nota nota isola di Hokkaido, e noi italiani abbiamo la fortuna di avere il bestseller Arc Raiders ambientato nella Campania post industriale. Perchè non approfittarne?
Di recente è diventata virale la notizia che il Giappone utilizzerà il videogioco bestseller Ghost of Yotei per incentivare il turismo nell’isola di Hokkaido. La stessa Sony, che ha pubblicato il gioco, sta progettando tour turistici ad hoc, tentando di monetizzare ulteriormente il successo del proprio prodotto. L’uso dei videogiochi per incrementare il turismo è un fenomeno recentissimo, che potrebbe interessare anche l’Italia. Vediamo il perché.
Gli USA hanno annoiato
Fino a pochi anni fa era ovvio che un videogioco ad alto costo dovesse essere ambientato negli USA. Questa scelta obbligata era dettata da considerazioni molto semplici: l’ampiezza del mercato, la riconoscibilità internazionale delle location, il fascino internazionale dalla cultura USA. Dopo la pandemia però le cose sono cambiate: i publisher hanno notato che l’ambientare sempre negli USA i giochi aveva generato noia nei consumatori, soprattutto dopo l’ingresso in massa nel mercato di giocatori cinesi ed arabi meno attratti dalle peculiarità della cultura statunitense. Ecco quindi che i grandi publisher si sono premurati di cercare nuove nazioni per ambientare i propri giochi, ottenendo risultati inaspettatamente positivi.
Bello il Missouri, ma vuoi mettere con l’Hokkaido?
Se Ghost of Yotei è un fenomeno di massa scoppiato da poche settimane, quest’anno altri giochi hanno fatto furore scegliendo nazioni poco rappresentate per ambientare il proprio prodotto. La Boemia medievale di Kingdom Come Deliverance II e l’Inghilterra rurale di Atomfall sono solo due fra gli esempi di videogames che hanno scelto scenari inediti intorno a cui costruire il proprio prodotto, venendo premiati dalla critica e soprattutto dal pubblico. Ma il fenomeno nuovo è un altro: gli appassionati di questi videogiochi hanno chiesto tour turistici ad hoc per vivere nella realtà gli ambienti sperimentati nel gioco.
Dal virtuale al reale
Il perché i videogiocatori all’improvviso sentano il bisogno di sperimentare con il proprio corpo le ambientazioni vissute con pad o mouse/tastiera dipende da una serie di fattori. Il più ovvio è l’aumento delle capacità tecniche di console e pc: la potenza di elaborazione dei device può ora permettere agli sviluppatori di ricreare intere città, paesi o regioni in maniera estremamente dettagliata. Un altro fattore è il successo dei travel vlogger su Instagram e TikTok: per la generazione Z e Alpha abituate a scegliere le proprie vacanze in base ai consigli degli influencer, il farsi suggerire potenziali mete vacanziere da un videogioco è il passaggio logico successivo. In più c’è la questione della storia: i videogiocatori non chiedono solamente di vedere fisicamente i luoghi dei loro games preferiti, ma di trovare in questi luoghi eventi ad hoc che li ricolleghino alla storia del gioco.
Questione di storie
Sì, perché la novità è che questo turismo non chiede solamente splendidi scorci e scenari per selfie, ma chiede un’esperienza dotata di senso, cioè una storia da vivere. Per quanto possa sembrarci strano, le nuove generazioni hanno ormai interiorizzato e metabolizzato il modello di turismo da reel dei social e chiedono qualcosa di più. Ecco quindi che la storia di un videogioco dà quel quid di esperienza immersiva in più che manca al turismo promosso da content creator e influencer, e non è un caso che siano stati i giapponesi a capirlo per primi. Un popolo amante dell’hi-tech e nel contempo profondamente attaccato alle proprie tradizioni come quello nipponico, ha intuito che fondere le due cose poteva attrarre nuove generazioni di turisti, promuovendo un nuvo businness in località lontane dalle stereotipate Tokyo o Osaka.
L’Italia
Perchè questo dovrebbe interessare noi italiani? Perché il 28 ottobre è uscito Arc Raiders, gioco online che in appena 3 giorni dall’uscita ha macinato centinai di migliai di giocatori e milioni di ore di contenuti su Youtube e Twitch. Arc Raiders è extration shooter online in terza persona ambientato nel sud Italia, fra Napoli e la Calabria. La trama è semplice: in un futuro post apocalittico gli Arc (robot comandati da un Ai ribelle) sterminano gran parte dell’umanità, costringendo i pochi superstiti a rintanarsi nel sottosuolo, uscendo in superficie solamente per recuperare i materiali necessari per sopravvivere sottoterra. La città sotterranea in cui inizia l’esperienza il nostro protagonista è Speranza, nome con cui i sopravvissuti hanno ribattezzato la metro di Napoli. Nel gioco esploreremo varie mappe, tutte ambientate nel sud Italia.
Il sud post industriale che non ti aspetti
Il punto interessante è quale tipo di Sud mostra Arc Raiders. Essendo un gioco ad ambientazione post-apocalittica, il prodotto ritrae un sud dominato da grandi complessi industriali abbandonati, impianti di depurazione delle acque, spazioporti, autostrade e complessi residenziali ipermoderni semidistrutti. In tutto questo non mancano ovviamente scorci che riprendono le tradizionali case di campagna campane, o i piccoli negozi di paese, ovviamente immersi nel sole caldo e avvolgente tipico del meridione. Gli sviluppatori della Embark Studios hanno fatto un ottimo lavoro per rendere su schermo un sud poco noto e rappresentato, e soprattutto per non ridurlo a un mero sfondo, rendendolo al contrario il coprotagonista dell’esperienza.
Chi non vorrebbe andare ad Acerra?
Se l’operazione portata avanti da Embark è inusuale, ancora più inaspettata è stata la risposta degli utenti. Streamer francesi, statunitensi, arabi, scandinavi hanno lodato le splendide ambientazioni delle mappe, e gli scenari così diversi da quelli tipicamente a stelle e strisce o russi in cui solitamente vengono ambientati i prodotti post-apocalittici. Questa esposizione mondiale e l’apprezzamento verso l’originalità dei luoghi trasposti su schermo sono un ottimo biglietto da visita per promuovere un turismo diverso da quello tradizionale per il meridione, presso un pubblico anagraficamente e geograficamente distante da quello raggiunto dal marketing turistico promosso dal governo italiano. Un’occasione molto ghiotta, soprattutto perché assolutamente gratuita: Embark ha costruito un enorme spot turistico al nostro Sud senza che noi dovessimo cacciare un euro per il favore.
Il futuro
Nonostante questo tipo di mercato sia appena nato, il suo futuro appare roseo. Il perché è semplice: offre vantaggi economici a tutti i soggetti coinvolti nell’operazione. Per i publisher significa buttarsi in prima persona o come partner nel lucroso businnes del turismo, per gli enti pubblici promuovere il proprio territorio senza doverci mettere soldi, per gli streamer spezzializzati in videogames ottenere viaggi gratis e sponsorizzazioni da aziende che prima non sapevano nemmeno della loro esistenza. Per i turisti della Gen Z e Alpha il vantaggio invece è quello di unire sfondi per i propri social ad esperienze rese profonde da una storia, e a noi in fondo poco importa se questa storia è tratta dai videogames e non dal tradizionale marketing del territorio.
