Seguici su

Arte

Da “Relative Calm” a “Camera Obscura”: esempi di multidisciplinarietà per un nuovo teatro multimediale

Pubblicato

il

Eccoci per il secondo appuntamento, questa volta con Michele Pogliani, coreografo, regista e videomaker fondatore e direttore della MP3 Dance Project  , per parlare di un “nuovo teatro-danza”,  fusione di Teatro e Media, anche all’insegna della “cultura del Remix”.

L’INTERVISTA

(In copertina: i performer Lorenzo Ganni, Agnese Trippa e Giovanni Marino in “Camera Obscura”, fonte: M.Pogliani)

Michele, qual è stato l’approccio della Compagnia ad uno spettacolo come “Relative Calm”?
Sai, è da diverso tempo che con loro sto creando dei progetti multidisciplinari, infatti contemporaneamente stiamo portando in scena un mio spettacolo, “Camera Obscura”, sempre con una produzione di Franco Laera, distaccandoci dall’idea della “sola” danza o movimento. Quindi mi sono sentito già molto vicino a questo tipo di progetto.

 

Visualizza questo post su Instagram

 

Un post condiviso da Michele Pogliani (@michele_pogliani)


Uno spettacolo come “Relative Calm” richiede estrema precisione e resistenza dei performer: su quali caratteristiche ti sei focalizzato nel formare la Compagnia ?
Sì, prima di tutto dev’esserci grande capacità di concentrazione da parte dei danzatori. Prima ancora di eseguire le coreografie devono studiare la partitura minimalista di Lucinda su un foglio, quindi devono essere dotati di grande capacità mnemonica. Quello a cui ho guardato io nel creare la Compagnia è soprattutto l’ “onestà”: i danzatori non danno solo prova fisica o estetica, formale e di movimento ma soprattutto impegnano se stessi nel profondo, scavano per comunicare la loro autenticità.

E com’è nato l’incontro con Lucinda Childs?
Posso dire che la conosco da una vita! Con lei ho lavorato 10 anni a New York e facevo parte della sua compagnia. A proposito di autenticità, il rapporto con lei lo è molto, ci lega una profonda stima e affetto. Essere il suo riferimento per progetti di questo tipo e respiro internazionale è per me importantissimo.
Pensa che la costruzione di “Relative Calm” è iniziata nel 2019 e poco tempo dopo ci siamo dovuti fermare per la pandemia e i vari lockdown. E’ stata una prova durissima per un allestimento di uno spettacolo del genere. Poi quando hanno riaperto i voli abbiamo subito fatto una residenza a Toulouse con Robert Wilson in persona.

Childs e Pogliani, New York – fonte: M.Pogliani

 

E com’è stata l’evoluzione degli artisti della tua compagnia rispetto all’allestimento dello spettacolo, in questo lungo arco di tempo?
Bè, pensa che loro sono proprio “nati” con “Relative Calm”! Quando abbiamo iniziato a provare erano ancora “allievi” della compagnia (Pogliani è stato anche docente all’Accademia Nazionale di Danza di Roma) e ho potuto trasmettere loro quello che io ho vissuto in prima persona da allievo di Lucinda nel mio periodo newyorkese.

In alcuni momenti dalla platea si aveva quasi la sensazione di essere proiettati in un warm up, un riscaldamento in sala: era tutto così autentico e coeso che ci si sentiva dentro la coreografia, come in una realtà aumentata, diversamente da quanto accade con altre coreografie “di repertorio”, in cui si percepisce una barriera tra lo spettatore e i danzatori…
E’ interessante questa tua percezione. Il lavoro dietro è enorme e la cosa più importante è di non “creare disagio” alla coreografia, che è una macchina perfetta e se salta anche solo un pezzo dell’ingranaggio rischi di rovinare tutto. In effetti nel lavoro di Lucinda è fondamentale la coesione mentale del gruppo: non devono esserci contrasti tra i danzatori, perchè la coreografia perderebbe d’impatto. Al debutto a giugno la compagnia si è un pò sfaldata e si è visto che “non respiravano con lo stesso cervello”.
A Bologna invece hanno fatto un lavoro straordinario, mi sono emozionato a guardare questa uniformità mentale e “di cuore”.

 

Visualizza questo post su Instagram

 

Un post condiviso da Michele Pogliani (@michele_pogliani)


Dal punto di vista tecnico quali sono le difficoltà di esecuzione di partiture di questo tipo?

Nell’ultimo pezzo dello spettacolo (“Light over water”, “sinfonia per ottoni e sintetizzatori”, 1985) la difficoltà sta nel fatto che la partitura di per sè è inesistente, il ritmo è solo nelle prime 4 battute e poi diventa fondamentale continuare a sentire lo stesso ritmo nel corpo. Si tratta di un gioco di squadra e si vince se tutti puntano al successo stesso del lavoro, non c’è spazio per gli egocentrismi.
Il ballerino minimalista è “una categoria a sé”, spesso deve danzare sulla ripetizione incessante di una stessa nota e la resistenza che deve metterci è diversa. Anche lo sforzo fisico è concentrato soprattutto dal ginocchio in giù.

Che preparazione fai fare ai tuoi ballerini?
Guarda, cerco di proporre e inserire anche quello che ho sperimentato negli anni ’80/’90 a New York. Ad esempio tutti i giorni è fondamentale fare lezione di classico, anche se poi il repertorio che si affronta è contemporaneo. Ci sono dei passaggi specifici da fare e quindi è fondamentale scaldare il basso gamba e preparare il salto gradualmente, c’è anche un grande lavoro sulla schiena.

 

Visualizza questo post su Instagram

 

Un post condiviso da Michele Pogliani (@michele_pogliani)


Com’è stata la direzione di Wilson? Le sue opere sono famose anche per il lavoro particolare sugli interpreti, penso ad esempio all’ espressionismo ed astrattismo dei “Sonetti di Shakespeare” o “Lulu”, l’espressività e il trucco degli attori… in questo caso come si è approcciato ai performer?

Sì, lui è geniale ma esigentissimo. I danzatori qui sono trasformati in maschera, tutto subisce un’astrazione e il trucco sul viso è bianco, tranne le sopracciglia e le labbra nere, per esaltare un’espressività astratta. Dirige minuziosamente come il performer sta in scena, ad esempio abbiamo trascorso tutta una giornata di prove a focalizzare quanta “aria” dovesse esserci sotto le ascelle in una sequenza (lo spazio tra le braccia e il busto e quindi la precisione della posizione delle braccia). Quando diversi anni fa ho fatto una lezione con lui per il ruolo che avevo in “Einstein on the beach” (ricordiamo che Pogliani partecipa nel ’92 al tour mondiale di “Einstein on the beach” proprio con la Lucinda Childs Dance Company, ndA) Wilson continuava a dirmi “Sei troppo leggero, non hai peso”. Intendeva che la presenza, i movimenti, dovevano essere più incisivi, più presenti appunto. E a forza di provare ho capito cosa intendesse e grazie anche a quelle osservazioni ho esplorato e affinato “come si sta sul palco”.
Wilson è molto attento anche a particolari che possono sembrare meno importanti ma che invece sono dettagli fondanti, come l’uso dell’occhio, lo sguardo, l’inclinazione della testa.

A proposito di occhio, Wilson e Childs hanno sempre visto “oltre”, in modo pionieristico. Quanto pensi sia attuale oggi una regia e un allestimento di questo tipo?
E’ una filosofia avanguardista ancora viva, che oggi è ancora più attuale di ieri. Alcuni loro lavori vecchi sono ancora più “moderni” di quelli a cui assistiamo oggi.
“Einstein on the beach” è del ’76 ma se non lo sapessi e vedessi i VHS che ho tenuto ti sembrerebbe un’ opera di oggi! E pensa che siamo stati fischiati in tutto il mondo!
Io amo Dimitris Papaioannou (regista, coreografo e visual artist greco di fama mondiale), è un genio, il suo lavoro mi trasporta in mondi incredibili ma alla fine è un Wilson moderno, maestri come Wilson e Childs hanno una firma talmente forte che vengono continuamente citati e reinterpretati.

Tu e alcuni performer della Compagnia, Agnese Trippa, Giovanni Marino e Lorenzo Ganni (il trio protagonista del pezzo Pulcinella Suite in “Relative Calm”) siete in tournée quest’anno anche con “Camera Obscura”, un tuo spettacolo “metafisico” e “multidisciplinare” come tu stesso lo definisci, che in effetti sembra percorrere il fil rouge di Wilson e Childs. Giochi di luci e cambi cromatici, intensità dei movimenti e indagine del subconscio tra mistico e onirico e partiture di sequenze elettroniche sono al centro della piéce. Già dal titolo sembra esserci la citazione da “La chambre claire” di Roland Barthes. Vuoi parlarcene?

Si, parte da quella lettura. È uno spettacolo che racconta quello che accade nella mia testa: sulla scena c’è “il mio cervello”, ho messo in scena 3 tableaux, ricordo-desiderio-sogno, in una pièce in movimento. Per me “Camera” è stato un punto zero, ho cambiato registro di lettura. E per citare una recensione che ho letto sullo spettacolo, il nuovo punto di partenza è stato “usare i Maestri come dei fari in mezzo al mare”. Da Lucinda ho ereditato sicuramente la lezione sullo spazioSe ci pensi infatti nel teatro e nella danza ad oggi a livello scenico è già stato fatto di tutto con luci, scenografie, video, il palco girato e rigirato, manca solo che l’essere umano possa volare! Quindi la novità sta sempre nella propria visione originale e nell’onestà dell’artista.

Camera Obscura, fonte: Pogliani

 

« Davanti all’obiettivo io sono contemporaneamente: quello che io credo di essere, quello che vorrei si creda io sia, quello che il fotografo crede io sia, e quello di cui egli si serve per far mostra della sua arte” -Roland Barthes

Clicca qui per seguire OA PLUS su INSTAGRAM

Clicca qui per mettere “Mi piace” alla PAGINA OA PLUS

Clicca qui per iscriverti al GRUPPO OA PLUS